in viaggio

Il Papa a Budapest non strizza l’occhio al governo Orban

Dorella Cianci

Francesco attraversa la città sul Danubio proprio nel nome dell’accoglienza e la definisce in maniera nuova: «Accoglienza con profezia»

«A Budapest si può avvertire il senso di un’Europa dopo lo spettacolo, ma essa non è, come Vienna, solo un palcoscenico della rimembranza di gloria passate, bensì è anche una citta robusta e sanguigna»: con queste parole Claudio Magris descriveva la bellissima città sul Danubio. Ripartendo da qui, si dovrebbe provare a interpretare il viaggio simbolico di Francesco in Ungheria, un viaggio pastorale e di diplomazia internazionale. Eppure si leggono, da più parti, ricostruzioni assurde, secondo cui Bergoglio starebbe strizzando l’occhio al cristianesimo musealizzato di Orban. Una falsità completamente smentita dalla centralità che il Pontefice ha voluto dare a migranti e rifugiati, mostrando, tanto al leader ungherese quanto alla miope Unione Europea, che non è possibile dimenticare le genti in movimento lungo la rotta balcanica, le assurde politiche dei muri perseguite sia dal governo ungherese che da quello polacco. Le vicende ucraine non possono distrarci da questi atteggiamenti da lager. Francesco attraversa la città sul Danubio proprio nel nome dell’accoglienza e la definisce in maniera nuova, nonostante questo sia passato in sordina: “accoglienza con profezia”. Che cosa sta dicendo il Papa all’Europa dell’Est, quella a pochi metri dalla guerra? Evidenzia la necessità di politiche migratorie accoglienti, con un occhio al domani, ai ragionamenti sulla demografia, sulla natalità, sulle politiche del lavoro senza frontiere (come evidenziato dalla Banca Mondiale).

Bergoglio, richiamando il termine “profezia”, in senso storico, intende ricostruire una “civiltà dei sostantivi” – come ha detto lui stesso arrivando lì – al posto della società, tiepida e diluita, “degli aggettivi”. In questo senso si rivolge all’Europa, sulla scia dei padri fondatori, chiedendo scelte coraggiose: non basta parlare di atteggiamenti accoglienti (in maniera aggettivale), occorre parlare nettamente del sostantivo “accoglienza”; non basta parlare di “movimenti pacifisti”, occorre parlare di pace con interventi politici. E questo viaggio è anche un modo diplomatico, ma netto, di mettere le politiche orbaniane all’angolo, proprio per evitare ulteriori danni in quel pezzo di Europa centrale, che sta conoscendo un momento di grandissima difficoltà. Mettere Orban sotto i riflettori è un modo per limitare la sua stessa politica!

Il presidente ungherese ama spesso, impropriamente, richiamare i valori cristiani, declinandoli in maniera ideologica. Francesco risponde a questa manipolazione con un grido chiaro, rivolto ai giovani di Budapest: “Dio perdona sempre” (un’espressione che è la somma non solo dell’accoglienza, ma anche dell’apertura cristiana, che non prevede le tendenze omofobe). Tutti i regimi totalitari, come noto, iniziano identificando un nemico pubblico e Orbán l’ha trovato nei migranti e nei transgender, dando al suo regime, fintamente democratico, un’identità sessista, che opprime. Indimenticabile il punto di vista della filosofa Heller, secondo cui l’Ungheria di oggi sta pagando gli errori fatti nel periodo di transizione dal comunismo alla democrazia. In questa zona grigia, si sono radicate le politiche nazionaliste dell’attuale leader. Qualcuno ha scritto che Francesco si è schierato contro l’aborto e contro l’ideologia gender (esattamente come poi compete a un Papa), ma questa sua posizione viene fortemente accordata armoniosamente, in ogni contesto, alla citazione di un Vangelo che non condanna mai.

Il Dio ideologizzato, dell’autocrate ungherese, dimentica il vero sinonimo di Dio, che è il sostantivo “misericordia”. Il filosofo Tibor Szábo aveva evidenziato due tratti caratteristici negativi della cultura politica ungherese: l’intolleranza politica verso tutte le posizioni “differenti” e la tendenza all’esclusività, monopolizzando alcune idee. È proprio qui che si innesca lo straordinario senso simbolico del viaggio di Francesco, il quale, peraltro, ha messo in evidenzia i fratelli cattolici di rito bizantino, che possono sposarsi. Una cosa va precisata senza mezzi termini: il viaggio da Roma a Budapest è ben più complesso di certi racconti di parte e mostra la nudità di un re dinanzi alla narrazione di un cristianesimo falsificato.

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