Punti di vista
Il volo dell’anatra tra cieli e recinti
C’è stato un tempo in cui sul placido plateau della Murgia materana, svolazzava un’anatra zoppa che tutti credevano destinata a zoppicare per sempre. Poi, in un giorno di ottobre, accadde l’imponderabile: l’anatra smise di zoppicare. Aprì le ali, le sbatté forte e, contro ogni previsione, cominciò a volare. Sognava spesso di essere un’aquila e, anche se volava ancora basso, aveva un planare deciso, come si addice alle anatre che hanno imparato a sopravvivere ai cacciatori e ai cambiamenti climatici. Oggi, mentre i prati sono ricoperti da un romantico foliage, le greggi affollano i pascoli e li attraversano migrando tra fiumi, montagne e nuovi pastori da seguire. Con la transumanza che si è fatta ormai perenne, nella fattoria degli animali regna sempre di più una demopazzia travestita da resilienza istituzionale. Chi va a destra, chi a sinistra, chi salta come una quaglia mentre l’anatra svolazzante sembra sempre più amica del toro che fiero, radicato, convinto che la forza e l’ordine siano i cardini del recinto, difende il terreno con le corna abbassate, ama le tradizioni della stalla e diffida delle mode del pollaio. Dall’altra parte c’è un cavallo testardo, tenace, convinto di dover portare il peso del mondo. Cammina a volte lentamente, inciampa nelle proprie idealità, ma non smette di cercare pascoli più giusti e orizzonti più equi. Illuso, tradito e scottato è consapevole che, alla fine, c’è chi preferisce sempre stare vicino al secchio del mangime. E poi c’è lui, il pavone, o la pavoncella. In ogni fattoria ce n’è almeno un esemplare: elegante, rumoroso, convinto che la soluzione ai problemi della comunità sia aprire la coda a ventaglio e mostrarne i colori. Il pavone è l’ego che danza sulla paglia, il simbolo della vanità che attraversa i due poli, tradendo una verità scomoda: spesso, il desiderio di apparire conta più del bisogno di servire. Alla fine, la politica sembra essersi nascosta dietro le quinte di questo teatrino da cortile, in attesa che qualcuno la inviti di nuovo sulla scena. Forse la si può ancora scorgere nei gesti minuti e silenziosi di chi non ha piume da mostrare ma idee da mettere in volo. Ma alla fine, può essere un lezione quella che ci lascia la fattoria politica di Matera? La democrazia è un ecosistema complesso, dove anche un’anatra può diventare simbolo di tenacia. Ma rimane la domanda. È coraggioso oppure opportunista cambiare traiettoria e tradire chi ti ha dato fiducia? Cercando le risposte, l’auspicio per la città è che l’anatra voli. Che voli sempre più in alto, oltre i recinti, sopra le greggi smarrite e le ruote vanitose, più su delle nebbie del consenso e delle zavorre del calcolo. Che voli come se fosse davvero un’aquila, anche se tutti continueranno a chiamarla anatra. Perché in fondo non conta da dove si parte: conta fin dove si ha il coraggio di arrivare.