Punti di vista

Rinnovare sempre la memoria della Shoah

rossella palmieri

Il ruolo della scuola ma non solo

27gennaio 1945: si aprono i cancelli del campo di concentramento di Auschwitz e vengono liberati i superstiti che sfuggono così a un orrore senza precedenti; pochi giorni prima, in una rovinosa ritirata, i nazisti avevano portato con sé altri prigionieri costringendoli a una vera e propria marcia verso la morte. Ne è passato del tempo da allora, ma la necessità di ricordare quella dolorosa pagina di storia ha portato, a partire dal 2000, alla celebrazione di una giornata nazionale. 25 anni quest’anno, sono lì a ricordarci ciò che è bene non dimenticare perché non si abbia più a ripetere. Certo, la letteratura ci aveva già messo del suo con dense, struggenti e convincenti pagine di imperitura memoria. Levi ebbe a dire che “se comprendere è impossibile, conoscere è necessario”, ma anche che “la nostra lingua manca di parole per esprimere l’offesa della demolizione di un uomo”. Eppure, a dispetto dell’indicibile, tanta letteratura, anche al femminile, è fiorita a partire da quel campo spinato; e ne è una riprova Etty Hillesum che lasciò testimonianza nel suo “Diario” condensando con icastica precisione – “quella notte ero all’inferno” – il suo passaggio a Westerbork, il campo di transito, tra gli altri, anche di Anna Frank e di Edith Stein. Lì la Hillesum visse i suoi ultimi giorni osservando, scrivendo e aiutando il suo popolo. E, come lei, Irène Némirovsky, la scrittrice ucraina naturalizzata francese che consegnò al romanzo “Suite francese” il suo personale viaggio all’inferno descrivendo tra mille orrori quello delle madri che, prese dal panico, afferravano e abbracciavano i figli come per riportarseli nuovamente in grembo, l’unico posto sicuro. È un bene che soprattutto agli studenti sia consegnato con iniziative, letture e messe in scene questo sempre doloroso momento di memoria, perché la storia nel bene e nel male va conosciuta, e “le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre”, come diceva ancora Levi nei “Sommersi e i salvati”. Forse ci si aspettavamo qualcosa di più in termini di sensibilizzazione su questa giornata, in una rete tra istruzione e istituzione che non si vede più in città da un po’ di tempo e che pare scavarsi sempre più. E, dunque, che resti almeno ben scolpito il monito di Levi. Pochi versi – “Se questo è un uomo che lavora nel fango che non conosce pace che muore per un sì o per un no” – devono essere l’antidoto più convincente contro l’orrore.

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