Il pensiero
Quell’«amico di famiglia» che marchia carne e anima
Dal cinema alla realtà, l’umana pietà sottratta
«L’amico di famiglia» è un film – bellissimo - di Paolo Sorrentino del 2006. Il protagonista si chiama Geremia dei Geremei, ed è interpretato da Giacomo Rizzo che, per questo ruolo, ha ricevuto due nomine come Miglior attore protagonista: la prima per il David di Donatello del 2007, la seconda per il Nastro d’argento, sempre nel 2007.
Il cinema crea con facilità «cattivi» carismatici, basterebbe pensare a Marlon Brando/don Vito Corleone, a Anthony Hopkins/Hannibal Lecter, a Anthony Perkins/Norman Bates, a Al Pacino/Scarface. Ha difficoltà quando deve rappresentare personaggi squallidi, viscidi, respingenti. Il cinema italiano però, nella sua grandezza, ha reso immortali alcuni vertici di vigliaccheria che solo attori di assoluto talento potevano portare sullo schermo. Ricordo Ugo Tognazzi/Adelmo, delatore ai nazisti della presenza di ebrei, in «Telefoni bianchi»; Nino Manfredi padre/padrone terribile in «Brutti, sporchi e cattivi»; il cinico e disonesto Walter Chiari/Alberto Annovazzi in «Bellissima». Infine, Giacomo Rizzo, usuraio rattuso in «L’amico di famiglia». Perché è proprio in casa che si annidano i serpenti più perniciosi e maledetti.
La sentenza che amplifica la richiesta del Pubblico Ministero e condanna un uomo ultrasettantenne per le violenze sessuali a cui ha costretto, per anni, una ragazzina disabile della Valle d’Itria, rappresenta quanto lo squallore e l’abiezione siano prossime. Al punto da entrare in casa, visto che questo scarto di umanità era considerato un «amico di famiglia» dai genitori della ragazzina. Non ci sono molte cose da dire, di fronte a tali abissi umani. Se a settanta anni passati un uomo commette tali bassezze, significa che l’età non lo ha maturato mai, è direttamente marcito. La sorte di questo tizio, però, non mi suscita alcun interesse: la giustizia italiana a cui è affidato, con i sui pesi e contrappesi, saprà tracciare il suo futuro. Mi auguro solo che a quella ragazzina venga permesso di diventare una donna consapevole, che le venga consentito di spurgare i ricordi terribili che ora le marchiano la carne, che le si restituisca la serenità sottratta da un uomo a cui dovrebbe essere tolto anche il diritto di chiamarsi tale. Certe volte è davvero difficile restare nei solchi della civiltà, del garantismo; è complicato restare convinti che chiunque può riabilitarsi, dopo aver pagato per la sua colpa. È un consorzio umano maledetto, quello in cui viviamo. Un mondo che trasforma in belva anche chi sembra un innocuo «amico di famiglia». E sottrae umana pietà a chi, di certi strazi, scrive.