Punti di vista

Tutti in viaggio con quei vagabondi della cava di Bauxite

Luisa Ruggio

Quel «lago rosso» di mistica sensualità nel punto di fusione tra l’opera dell’uomo e la surreale bellezza che talvolta ne deriva

Qualche tempo fa, rovistando tra i miei libri più vecchi, nella biblioteca diffusa dentro casa, ho ritrovato un’edizione ormai fuori moda di un romanzo che a quindici anni mi fece venire voglia di avventura e paesaggi conquistati camminando a piedi con uno zaino in spalla e un vero amico affianco. Quel libro si intitola I vagabondi del Dharma e lo ha scritto, com’è noto, Jack Kerouac in uno dei suoi slanci più ispirati e travolgenti per il lettore che ha, da generazioni, la fortuna di incontrarlo sul suo cammino.

Kerouac era qualcosa di ben più grande della sua fama, qualcosa che lo precedeva ovunque andasse: era un vero vagabondo, aveva bisogno della strada sotto i piedi, non per scrivere, per vivere. Per non doversi aggiustare a sopravvivere, per godersi il suo giro di giostra su questa terra fintanto che era in groppa al suo turno. Ritrovare quel libro, rileggerlo, ha rinforzato in me una voglia che da allora non mi ha più mollato: andare in cerca di quel genere di panorama che da solo ha la stessa forza di una scrittura policroma di contrarietà. E perciò sono tornata a fare visita ad uno degli scenari mozzafiato che a queste latitudini hanno la forza di una meta raggiunta dopo una scalata o un cammino silenzioso a cielo spalancato: la cava di Bauxite, avamposto del mare della Baia delle Orte, vicino ad Otranto. Qui dove sorge il sole, nel punto più orientale d’Italia, ogni telefonino capta il segnale della rete greca alla stregua dell’occhio umano che si connette totalmente con un rosso più vasto, più estremo, della terra circondata dalla natura selvaggia della macchia mediterranea.

Se esiste una mistica della sensualità che trova un punto di fusione tra l’opera dell’uomo e le conseguenze di surreale bellezza che talvolta ne derivano è questo «lago rosso» nato dall’antico giacimento del minerale rosso vivo che colora la cava e che dal 1940 al 1976 fu utilizzato per ricavarne alluminio. Gli scavi si interruppero quando portarono alla luce la falda acquifera che determinò la fine dei lavori di estrazione e la formazione dell’occhio verde profondo 20 metri e abitato da piante paludose. Malva, ginestre, camomilla e papaveri, non c’è altro tutt’intorno, a perdita d’occhio, mentre questo verde s’irradia come un gong dal centro della terra sino all’abracadabra che ci determina quando diventiamo, come Kerouac e i suoi migliori amici, vagabondi del Dharma.

 

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