Punti di vista
Un viaggio social tra foto e memorie della Potenza che fu
Si rincorrono su Facebook meravigliose immagini colorate che superano facilmente il secolo
Il fatto è che sarà l’età, ma vado pazzo per le foto della Potenza che fu. Le si trova su Facebook, nelle bacheche di Potenza Ieri, Potenza Turistica, Il bello di vivere a Potenza, Potenza d’Epoca, e possono essere foto che superano facilmente il secolo. Ecche meraviglia quelle colorate di rosa tenue e celeste ciel d’aprile; che piacere perdersi a studiarne i particolari. Così per il gruppo di famiglia in gita campestre. La dama col parasole, simile all’elegante parigina di Monet – chissà cosa avrebbe detto Carlo Levi, incontrandola? E insieme a lei, il gentleman dai baffi a manubrio, appena sceso dalla carrozza. E le figlioline vezzose che fanno smorfie ai garzoncelli di campagna, perché sì, siamo in aperta campagna anche se già si vede la deliziosa casina che ancor oggi fa da cuneo tra la salita di San Gerardo e via Mazzini. Come pure s’intravedono i primi bassi giovani alberi, adesso alti e maestosi e, appunto, secolari, di quella che sarebbe divenuta la Villa di Santa Maria.
E sempre della villa, ma in un’altra foto appare l’appena eretto padiglione in legno della pista di pattinaggio, una specie di meraviglioso tempio giapponese, sotto le cui volte ho fatto in tempo a compiere le mie belle acrobazie quando in primavera, insieme alle urla di noi ragazzi si riempiva dello stridio delle rondini che volteggiavano in cerchio proprio sopra il cerchio festoso che disegnavamo noi di sotto – prima che lo zotico di turno decidesse, chissà perché, di farlo abbattere.
E arriviamo quindi alle foto che, in realtà, prediligo; quelle della mia, di epoca, che ormai non sono, pure loro, così recenti. L’epoca, per dire, della nuovissima svettante Cassa di Risparmio, costruita arditamente a ridosso della chiesa di San Francesco. Il sole batte sull’acciottolato mentre ci entro in quella domenica di Pasqua, con mio fratello Tomangelo e il nostro povero amichetto Gianfranco, sorridenti nel vestito della festa e ignari del suo triste destino. Poi c’è la cartolina (viaggiata) piena di ragazzi più grandi di noi che se ne stanno nel mezzo di voitures familiari e qualche rara fuoriserie, beatamente stravaccati ai tavolini del Caffè Pergola. Un venticello dolce smuove le frange degli ombrelloni – e guardo bene se ne riconosco qualcuno.
Come faccio pure studiandone un’altra, bellissima, della stazione Superiore, col treno quasi preso d’assalto da una torma di studenti dai pantaloni a zampa d’elefante e studentesse in gonnellone, tutti ugualmente capelluti: potrei infatti esserci pure io, in partenza ai tempi dell’università. Perché ecco, lo confesso: individuarmi in una di queste foto è quello che me le fa scrutare con tanto zelo. Non sarebbe in fondo questa la manifestazione più plastica degli anni che ho vissuto, delle persone che ho incontrato?
Ma fosse per me, sarebbe rimasto solo un desiderio. Invece, qualche tempo fa, inizia a girare in rete la foto di una grande manifestazione. È zeppa di persone e di facce. Ma niente, io non ci sono, quando invece ecco arrivare il messaggio della mia amica Rosarita, con un cerchio che mi indica. Quante volte, da allora, sono andata a riguardamela, a rivedere quelli che mi stavano accanto. Chi è, per esempio, il ragazzo al quale stavo parlando? Cosa gli dicevo? No, non l’ho mai saputo. Riconobbi subito, ad appena qualche decina di metri da me, Mario Trufelli. Una persona che sarebbe stata poi molto importante per la mia vita e che da qui saluto col più grande affetto. Ciao, Mario caro!