ARTE COMUNICATIVA
Voce, stile e musica sullo sfondo barocco
La potenza espressiva di Serena Brancale rimanda alle cariatidi del Partenone, una presenza evocativa il cui richiamo è stato percepito dalle statue di Lecce
Ho ancora negli occhi questa immagine: un donna seduta dinanzi a un pianoforte a coda nero, come il suo abito da sera che le lascia scoperta appena la schiena abbronzata, la voce che si staglia contro la facciata della Chiesa di Santa Maria della Provvidenza o delle Alcantarine in una Piazzetta Baglivi gremita di ascoltatori rimasti in piedi, a margine di un grappolo di posti a sedere, ad ascoltare questo concerto in solitaria. Cantante, pianista e percussionista, one woman show, Serena Brancale è l’artista che ho scelto di cercare nel programma diffuso del Piano City Lecce Festival, è trascorsa giù una settimana dalla prima edizione della rassegna leccese, eppure l’immagine che ho negli occhi è ancora così vivida, lucente. Complice un’estate che si è appena lasciata assorbire per osmosi da un principio d’autunno la cui luminosità settembrina incanta, stagione che ha avuto i suoi tormentoni radiofonici, come sempre, ma che al contempo ha concesso le sue epifanie musicali. Ad esempio: la voce e lo stile di Serena Brancale sono una treccia di inediti e di interpretazioni che in questi mesi ci hanno restituito un’altra Puglia, quella della Bari Vecchia dove lei canta a cappella in un video che ha fatto il giro della rete insieme alle orecchiette impastate da una delle tante signore dalle instancabili mani all’opera tra il lungomare e la statua di San Nicola, quella in cui le intuizioni di Pino Daniele (ascoltate la sua versione di «Je so pazzo», feat Richard Bona) sembrano lasciarsi ereditare dal talento consolidato eppure sempre autoironico di una giovane diva dei giorni nostri, un’artista che ipnotizza il suo pubblico e dalla strada è amata più di quanto non sia stata compresa a Sanremo («Galleggiare», 2015).
Sembra quasi una parola lontanissima dal suo modo di fare e di essere, diva, e che riporta ad un’altra parola che pure sta al caso suo: dèa. E non solo nel senso più umano, ovvero di donna che non confligge con la propria bellezza, ma che la accoglie e la porta in dono, così come fa con tutti gli altri suoi carismi. Non a caso, mentre le luci di scena sottolineavano lo sfondo barocco e la bellezza sontuosa della pietra leccese, la potenza espressiva di Serena Brancale rimandava alle cariatidi del Partenone, una presenza evocativa, talmente viva, che tutte le statue del capoluogo salentino devono averne percepito il richiamo, il canto, tendendo perciò alla sensualità rigenerante di una voce di donna che passando da qui ha risvegliato persino i morti, anzi, persino quelli che si credono vivi. La Provvidenza ha molti messaggeri.