LA RUBRICA
Bari, l’eroina tragica nella piazza che fu
Tra gli anni Settanta e Ottanta quando i tossicodipendenti giravano per il «giardino»
BARI - Probabilmente non è morale dire che il brutto è bello e che il bello è brutto. Ma ce ne hanno parlato anche le streghe nel Macbeth, secoli prima degli junghiani o di Sacher-Masoch. Giacomo Puccini in Turandot ne realizzò la rappresentazione più chiara: la scure del boia osannata. Perciò nel «Giardino», cioè piazza Umberto zona stazione di Bari, regno della sinistra alternativa più che militante, era bello seguire, passo cadente per passo, i viaggiatori dell’inconscio che si bucavano. Era bello osservarli mentre sulle panchine ripiegavano come alberi dissanguati abbandonando le braccia segnate. Fra anni Settanta e Ottanta il mondo si divideva tra rossi e neri, compagni e fasci. Armati di pugni, catene e spranghe.
L’eroina, sostanza che nessun pentito potrà mai rinnegare, si era impossessata di Bari. I tossicodipendenti, scimmia in spalla, vagavano per il Giardino, come in altri luoghi, come nei pochi locali che si aprirono nel decennio dell’Aids. Ci parlavano della morte sgranando pupille di spillo, ci traghettavano socchiudendo gli occhi dal Lete all’Acheronte, là dove i demoni non ci avrebbero perdonato. Ventenni, quindicenni, o cinquantenni anche, perché qualcuno incominciò a martirizzarsi cristianamente tardi. Si rubava nelle case degli amici, di padri e madri e di fidanzate. Spesso affiancati da ladri professionisti del borgo antico, San Pasquale, del Cep (San Pio) che ti schifavano. Raffinate figlie della Bari ricca o intellettuale andavano a letto con animali che stringevano in pugno la sostanza. Si tradivano gli spacciatori come si tradivano i santi.
Erano sporchi i cucchiaini trafugati dai bar nei quali la polvere crepitava placando i mali. Sporco l’ago della siringa condivisa che trasmetteva epatite C o l’Hiv che per ideologia si negava. Tanto, pure nel reparto infettivi del Policlinico certi infermieri ti passavano le spade già cariche. Erano sporchi i lacci che nella stretta lasciavano riemergere le vene ingoiate, sporchi i capelli di chi si faceva, sporche le mutande degli uomini e delle donne, gonfie di pelame, sporchi i letti delle stanzette di Bari Vecchia, del Madonnella in cui ti fornivano tutto, anche l’intimità per consumare amore tossico stanco. Ma soprattutto erano sporche le anime. Poi rossi e neri smisero di menarsi. Si ritrovarono a bere anche in feste nel complesso edilizio Chiglia Appula. Si ritrovarono insieme a spacciare e a farsi, dato che la roba è una soltanto. E nella comunione tradussero l’unica verità.