Il caso
Appalti Covid, il Riesame dice «no» all'arresto di due imprenditori: «Per Nuzzo mancano i gravi indizi»
L'inchiesta partita dall'ospedale Covid della Fiera del Levante: respinto l'appello della Procura di Bari
BARI - Non ci sono esigenze cautelari che giustifichino l’arresto dell’imprenditore Domenico Tancredi, e mancano del tutto i gravi indizi nei confronti dell’altro imprenditore Alessandro Goffredo Nuzzo. È quanto ha stabilito il Tribunale del Riesame, che ha respinto l’appello del procuratore Roberto Rossi contro il «no» all’arresto ai domiciliari nell’ambito dell’inchiesta sui presunti appalti truccati della Protezione civile, inchiesta nel frattempo approdata a processo.
Tancredi, 42 anni, di Altamura (difeso dal professor Vito Mormando dall’avvocato Mario Malcangi) e Nuzzo, 72 anni, di Santa Cesarea Terme (professor Filippo Bottalico e avvocato Luca Calcagnile) rispondono entrambi di concorso in corruzione con l’allora ex dirigente regionale Mario Lerario, arrestato in flagranza all’antivigilia di Natale 2021 mentre intascava una mazzetta e tutt’ora ai domiciliari. L’inchiesta riguarda complessivamente otto persone e gira intorno all’appalto per l’ospedale Covid della Fiera del Levante.
Nuzzo è il proprietario della Pulisan di Bari che tra 2019 e 2023 ha ricevuto appalti per 30 milioni di euro dalla Regione, e ha nel frattempo dismesso ogni funzione operativa nell’azienda anche per via dell’età. La Procura lo accusa di aver trattato con Lerario l’aggiudicazione dell’appalto per le pulizie degli uffici regionali da 15 milioni (procedura annullata in autotutela dopo l’arresto del dirigente), promettendogli qualcosa di non meglio definito durante un incontro: la proposta sarebbe arrivata attraverso il passaggio di un «pizzino», mentre in un incontro precedente l’imprenditore avrebbe fatto riferimento a una «promessa da mantenere». Il Riesame (presidente Mastrorilli, relatore Schiraldi) ha però ritenuto che il quadro non sia sufficiente a ritenere provata la tesi accusatoria: «gli indizi per quanto sussistenti non assurgono al livello di gravità indiziaria» richiesto per la concessione di una misura cautelare. «Le riprese video di quanto avvenuto il 16 novembre 2021 all’interno del nuovo ufficio del Lerario - scrive il Tribunale - non consentono di accertare il contenuto del messaggio veicolato dal Nuzzo attraverso l’esibizione» a Lerario «di un post-it». «Certamente trattasi di una modalità comunicativa sibillina, che verosimilmente dimostra la volontà dei due interlocutori di evitare conversazioni che potevano essere captate da intercettazioni ambientali, tuttavia non se ne conosce il contenuto né quest’ultimo può automaticamente collegarsi alla manifestata volontà del Nuzzo di tener fede agli accordi (presuntivamente) illeciti intercorsi con il Lerario, essendo tale incontro avvenuto ad oltre un mese di distanza dal primo». Sulla base degli stessi indizi il gup Giuseppe Ronzino a marzo ha rinviato a giudizio otto persone (tra cui lo stesso Nuzzo): il processo comincerà il 3 giugno.
A Tancredi, la cui impresa ha ottenuto appalti per 5,2 milioni dalla Regione, la Procura contesta di aver remunerato Lerario eseguendo lavori di ristrutturazione in un suo immobile di Acquaviva delle Fonti «al prezzo di costo o comunque di gran lunga inferiore al prezzo di mercato». La stessa accusa ritiene che l’imprenditore, pur avendo formalmente dismesso cariche operative, sia ancora attivo nell’impresa. Il Riesame è però di opinione differente ritenendo mancante il requisito dell’attualità: «I fatti per cui si procede risalgono al più tardi al marzo 2021 e (...) agli atti non vi è alcuna prova di ulteriori strascichi della vicenda, anche in considerazione della cessazione del rapporto di lavoro tra l’indagato e la società in favore della quale le condotte contestate erano state commesse».