Il caso
In Puglia celle sovraffollate e carceri ormai al collasso
Penitenziari regionali strapieni (+169%). Suicidi in crescita. È allarme a Foggia
«Sicuramente i suicidi nelle carceri sono una spia o, comunque, il segnale di un malessere. Non possiamo dire che aumentano perché c’è il sovraffollamento, ma certamente le condizioni di detenzione sono ai limiti della disumanità». L’avvocato Gianpaolo Catanzariti, responsabile nazionale dell’Osservatorio carceri dell’Unione delle Camere penali italiane analizza e descrive il tragico fenomeno che da Sud a Nord macchia di sangue un intero Paese. L’allarme era stato lanciato anche dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella nell’intervento di fine anno. «L’alto numero di suicidi è indice di condizioni inammissibili», a seguito della pubblicazione di veri e propri bollettini di guerra che nel 2024 raccontavano la disperazione dei gesti estremi nelle carceri italiane.
L’ultima tragedia, in ordine temporale, si è consumata proprio nel carcere di Foggia, dove un recluso per maltrattamenti in famiglia di 45 anni di Vieste, si è tolto la vita impiccandosi alla finestra delle sbarre del bagno. «Una persona tranquilla, estranea a contesti criminali» avrebbero riferito i poliziotti e tutti coloro che lo avevano conosciuto, oggi scioccati. Era stato sistemato in un camerone del reparto infermeria insieme ad altri sette detenuti. E, purtroppo, è il carcere della Capitanata «a essere ritenuto terzo istituto in Italia per sovraffollamento, 208%, il doppio della effettiva capienza- prosegue il responsabile dell’Osservatorio carceri. Stesso fenomeno, secondo i dati del Garante, che si registra nel penitenziario di Taranto, 198% in più, il carcere di Lecce supera la capienza del 180%, Brindisi il 206%. Contro il tasso di sovraffollamento nazionale del 132%. La Puglia è la prima regione per sovraffollamento in Italia con il 169,17%».
Dati emergenziali che devono far riflettere per trovare so luzioni immediate ed efficaci perché i detenuti non continuino a essere vittime di un sistema che trasforma la pena in tortura.
«L’anno scorso si è verificato il numero di suicidi in carcere e, comunque di morti, più elevati dal 1992: il 2024 si era chiuso con 91 suicidi in carcere e 155 morti per altre cause. In totale 246 morti in carcere. Dei suicidi sapevamo che era stato il 2022 il più alto con 84. Ma il trend di quest’anno, scarsi tre mesi dall’inizio del 2025, ci parla di un numero superiore rispetto al passato. Secondo il rapporto del Garante dei detenuti abbiamo avuto 78 morti in carcere, siano essi suicidi o morti naturali».
Dalla lettura dei dati emerge che la maggior parte dei sucidi avviene nel circuito della media sicurezza, cioè in sezioni a custodia chiusa, tra cui celle di isolamento o ad alto rischio. In queste celle sovraffollate la maggioranza dei detenuti vive, per oltre 20 ore al giorno ed esce solo nelle cosiddette «ore d’aria».
«Se noi guardiamo i dati complessivi, il carcere vive una condizione intollerabile che porta i detenuti ma anche chi ci lavora in condizioni al limite della tollerabilità. I numeri ci dicono che l’istituzione carcere è fallita. Abbiamo il tasso di recidiva più alto in Europa, il carcere diventa una scuola del crimine. Le statistiche ci dicono che il 70% dei detenuti che esce a fine pena torna a delinquere». Dati preoccupanti e importanti quelli dell’Osservatorio, che potrebbe diventare una nuova commissione parlamentare. «Il rapporto del 6 marzo 2025 del Garante dei detenuti ci dice che abbiamo più di 62mila detenuti rispetto alla disponibilità regolamentare di 46890, circa 16mila in più» prosegue il responsabile dell’Osservatorio carceri Catanzariti, spiegando che gli spazi sono insufficienti. Difficili condizioni e sovraffollamento per cui l’Italia è stata già condannata con la sentenza Torreggiani dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo.
«Si tratta di una sentenza pilota perché impegna lo Stato a risolvere le condizioni disumane. Ci dicono che tre metri quadri per detenuto potrebbero essere tollerabili, nel senso che al di sotto ci potrebbe anche stare ma ci vogliono dei rimedi compensativi, cioè la persona deve muoversi negli spazi all’aperto, fare attività scolastiche, avere spazi adeguati».
E sulla soluzione valutata dal governo: «È un bluff la previsione che entro la fine del 2027 saranno recuperati circa 7mila posti detentivi. Perché analizzando il dato statistico, ma l’ha detto anche il capo del Dap dimissionario, Giovanni Russo, quando nel 2024 è stato audito in commissione Giustizia alla Camera, ogni mese entrano circa 400 detenuti in più rispetto al mese precedente e quasi ogni mese si perdono circa 100 posti per danneggiamenti alla struttura. È sempre maggiore il dato delle presenze». E, dunque, quali le soluzioni? «Sicuramente servono investimenti sull’edilizia penitenziaria, basti pensare anche che gli istituti non sono nemmeno in grado di garantire il diritto all’affettività con la moglie, la compagna o i figli perché mancano i luoghi. Non investiamo adeguatamente alla risocializzazione e, al riguardo, diversi sono i casi di suicidio che avvengono o all’inizio della detenzione o quasi alla fine perché il detenuto ha paura del ritorno nella società, perché sa che è una società in cui non ha più nulla, è abbandonato da tutti, se non addirittura una società che lo respinge e lo respingerà. Si deve investire nel personale - educatori, psicologi, psichiatri, mediatori culturali e interpreti per la popolazione straniera. Il sistema penitenziario deve essere adeguato: è stato introdotto nel ‘75 e per buon parte non è mai stata data attuazione a quanto prevedeva. Oggi avremmo bisogno di indulto e amnistia, l’ultimo risale al 2006 e parliamo dei reati con pena minore di quattro anni. Sono 90mila le persone con una vita bloccata che attendono di essere valutate se finire in carcere o essere sottoposte a misura alternativa» conclude l’avvocato Gianpaolo Catanzarini, responsabile nazionale dell’Osservatorio carceri delle camere penali italiane. D’altronde, come non pensare a Papa Francesco che ha aperto la Porta Santa nel carcere di Rebibbia il 26 dicembre 2024, la prima volta nella storia della Chiesa Cattolica che una Porta Santa del Giubileo sia stata aperta in un penitenziario. «Penso ai detenuti che, privi della libertà, sperimentano ogni giorno, oltre alla durezza della reclusione, il vuoto affettivo, le restrizioni imposte e, in non pochi casi, la mancanza di rispetto. Propongo ai governi che nell’Anno del Giubileo si assumano iniziative che restituiscano speranza».