Il servizio idrico integrato

Acquedotto Pugliese, via libera della Regione al riassetto societario: la gestione dell’acqua resterà pubblica

Massimiliano Scagliarini

La concessione del servizio scade nel 2024 e non può essere rinnovata: l’unica possibilità è il ricorso all’affidamento in-house. Aqp ai Comuni per evitare il ricorso alle gare

BARI - L’obiettivo finale è la trasformazione in una multiutility. Ma per il momento c’è da fare i conti con la scadenza, a fine 2024, della concessione del servizio idrico integrato. E per non rischiare la strada della gara d’appalto, che potrebbe portare l’acqua in mano a una multinazionale, ci sarà una trasformazione di Aqp: la Regione manterrà la proprietà della holding, ma affiderà ai Comuni - direttamente o tramite l’Aip - il controllo della nuova società di gestione.

Il percorso di «evoluzione societaria» che la giunta ha approvato mercoledì sera è in realtà la riedizione di un progetto evocato già dai tempi di Franco Tatò, e predisposto nelle sue linee essenziali nel 2014 dall’ex governatore Nichi Vendola. Emiliano sembrava avere un’altra idea: nel 2016 ipotizzò di trasformare Aqp in una holding per accogliere la partecipazione di altre Regioni in una operazione di sistema, «l’Acquedotto del Mezzogiorno», sotto la regia di Palazzo Chigi. Le cose andarono diversamente, ma oggi si ripropone il problema della gestione. E dunque si torna all’idea di Vendola, ma previo spacchettamento.

Aqp è stato per lungo tempo l’unico concessionario idrico ope legis d’Italia. E dopo la breve proroga disposta alla scadenza dal governo Renzi, l’unica possibilità per evitare una gara d’appalto è l’affidamento in-house. Aqp è interamente partecipata della Regione: affinché si possa procedere all’affidamento diretto, in base alle norme europee è dunque necessario che il gestore sia controllato al 51% dai titolari del servizio idrico, cioè dai Comuni. Di qui la necessità di procedere con lo spacchettamento.

La giunta regionale ha dunque dato mandato all’Acquedotto di avviare la riorganizzazione societaria. Il patrimonio dovrebbe rimanere nella holding (Aqp HoldCo), scorporando nel braccio operativo «Aqp Sii Puglia» la gestione del servizio (il personale). È in quest’ultima che, direttamente o tramite una società veicolo, dovrebbero entrare i Comuni. Lo schema, che si basa su un parere legale, dovrà essere sottoposto a verifiche di fattibilità e potrebbe anche dover scontare la procedura per le verifiche in materia di aiuti di Stato (perché Aqp riceve finanziamenti pubblici agli investimenti). Una terza società, controllata dalla holding, potrebbe eventualmente occuparsi della gestione della grande adduzione (le infrastrutture idriche che portano in Puglia l’acqua da Basilicata e Campania): anche qui vanno approfonditi i rapporti reciproci per la sostenibilità economica dell’operazione.

Con oltre 2mila dipendenti e 400 milioni di fatturato Aqp è la principale società pubblica del Mezzogiorno. Ed è anche, e di gran lunga, la principale stazione appaltante pugliese. Gli interessi in gioco sono enormi. Ma anche l’obiettivo di evolvere in una multiutility, tratteggiato nel piano industriale del presidente Domenico Laforgia, risale già ai piani di Vendola: il grimaldello sarebbe dovuto essere Aseco, la società oggi al centro dell’operazione sull’impiantistica pubblica dei rifiuti. Ma il discorso della multiutility è di fatto rinviato a un momento successivo.

Le difficoltà operative da superare per l’ingresso dei Comuni sono infatti non banali. Bisognerà infatti decidere se dovranno entrare singolarmente oppure - come sembra - in forma aggregata. E dunque con quale peso, e con quale governance, per evitare che la società di gestione diventi una mangiatoia della politica. In più, bisognerebbe fare in modo che la concessione attuale non abbia valore residuo, perché altrimenti i Comuni dovrebbero farsi carico di un ingente investimento patrimoniale: qualcuno ha perfino immaginato che gli enti locali possano conferire a capitale il valore delle reti comunali.

Privacy Policy Cookie Policy