Il caso
Norman Atlantic, la parola alla difesa: «Il comandante ha agito correttamente, chi lo ascoltò si salvò»
«Ciò che è accaduto non può qualificare il delitto di naufragio» che in base alla legge è configurabile «quando la nave non sia più in grado di galleggiare correttamente, a causa del danneggiamento dello scafo»
«Quello che è accaduto alla Norman Atlantic, in seguito all’incendio scoppiato a bordo, non può qualificare il delitto di naufragio» che in base alla legge è configurabile «quando la nave non sia più in grado di galleggiare correttamente, a causa del danneggiamento dello scafo"; e le morti dei passeggeri causate dalla caduta in mare sarebbero, invece, «conseguenza del comportamento dei malcapitati a bordo» e non possono essere contestate al comandante come omicidi colposi. Lo hanno detto al Tribunale di Bari gli avvocati Fabrizio D’Urso e Alfredo De Filippis, difensori del comandante Argilio Giacomazzi, nel corso delle arringhe al processo per il naufragio della Norman Atlantic avvenuto a largo delle coste albanesi nella notte tra il 27 ed il 28 dicembre 2014 e che causò la morte di 31 persone e il ferimento di 64 passeggeri. A Giacomazzi la Procura di Bari ha contestato i reati di naufragio e omicidio plurimo colposo in concorso con l’aggravante della colpa cosciente, chiedendo nove anni di reclusione.
«Si può integrare il reato di naufragio quando la nave non sia più in grado di galleggiare correttamente, a causa del danneggiamento dello scafo - hanno fatto presente i legali -. Nel caso della Norman Atlantic si è verificata la perdita della governabilità, ma non c'è stata compromissione dello scafo. La possibilità di galleggiare non è stata pregiudicata, tanto che il traghetto è stato rimorchiato fino all’Italia ed è rimasto in porto galleggiando per anni». Per questo i difensori di Giacomazzi hanno chiesto ai giudici di riqualificare il reato relativo al primo capo di imputazione che, se così fosse, risulterebbe prescritto.
Quanto al secondo reato contestato, l’omicidio colposo, la difesa ha fatto presente che i decessi avvenuti, secondo l'ipotesi accusatoria, a causa dell’incendio che avrebbe provocato il naufragio non possono essere ascritti alla responsabilità del comandante. Quelle causate dalla caduta in mare sarebbero, invece, «conseguenza del comportamento dei malcapitati a bordo».
«Non ci sono certezze che al momento della partenza sulla Norman Atlantic ci fossero camion frigo accesi non allacciati alla rete elettrica, il controllo degli stessi era inoltre affidato a un professionista qualificato e certificato». Lo hanno detto nelle loro arringhe dinanzi al Tribunale di Bari gli avvocati Fabrizio D’Urso e Alfredo De Filippis, difensori del comandante Argilio Giacomazzi, nel corso del processo per il naufragio della Norman Atlantic avvenuto a largo delle coste albanesi nella notte tra il 27 ed il 28 dicembre 2014 e che causò la morte di 31 persone e il ferimento di 64 passeggeri. A Giacomazzi la Procura di Bari ha contestato i reati di naufragio e omicidio plurimo colposo in concorso con l'aggravante della colpa cosciente, chiedendo nove anni di reclusione. «La Procura ha contestato al comandante di non aver valutato correttamente il rischio - hanno proseguito i difensori -. Ma a lui non spetta questo compito, spetta formare l'equipaggio e avvertirlo del rischio per porre in essere tutte le procedure adeguate». «Il comandante non voleva assolutamente che sul traghetto viaggiassero camion con il motore ausiliario acceso», hanno fatto inoltre presente i legali. Gli avvocati hanno sottolineato che il «piano di sicurezza fu predisposto correttamente e approvato dalle autorità preposte».
Il comandante avrebbe quindi agito correttamente durante tutte le fasi dell’emergenza. «Non è possibile pensare che il comandante sia investito della responsabilità di tutto ciò che succede sulla nave unicamente in virtù del suo ruolo - hanno aggiunto - perché questo vorrebbe dire che dovrebbe essere in grado di prevedere anche l’imponderabile». I legali hanno quindi chiesto l’assoluzione da tutti i reati o, in subordine, la riqualificazione di alcune contestazioni. Richieste anche l'eliminazione delle aggravanti e il riconoscimento delle attenuanti in virtù del «corretto comportamento tenuto da Giacomazzi durante l’emergenza e dell’atteggiamento collaborativo mostrato durante il processo».
«Il comandante Giacomazzi non voleva assolutamente che a bordo della nave salissero camion con il motore ausiliario acceso e non allacciati alla rete elettrica della nave. Alcuni soggetti si sono sovrapposti alle direttive, in spregio alle sue disposizioni». Lo hanno detto di fronte al Tribunale di Bari gli avvocati Fabrizio D’Urso e Alfredo De Filippis, difensori del comandante Argilio Giacomazzi, nel corso del processo per il naufragio della Norman Atlantic avvenuto a largo delle coste albanesi nella notte tra il 27 ed il 28 dicembre 2014 e che causò la morte di 31 persone e il ferimento di 64 passeggeri. A Giacomazzi la Procura di Bari ha contestato i reati di naufragio e omicidio plurimo colposo in concorso con l'aggravante della colpa cosciente, chiedendo nove anni di reclusione. I legali hanno ricordato uno scambio di mail fra Giacomazzi e l’armatore del traghetto, Carlo Visentini, avvenuto la mattina di Natale del 2014.
«Il comandante fece presente il problema degli allacci elettrici insufficienti si è attivò per risolverlo - hanno aggiunto -. L’armatore gli rispose che sarebbero saliti a bordo solo i camion consentiti e che gli altri sarebbero restati a terra». Seguì una seconda mail nella quale Giacomazzi evidenziò a Visentini un possibile scarico di responsabilità su questo punto da parte del noleggiatore della nave. «Emerge che Giacomazzi non intendeva tollerare che mezzi imbarcati fossero accesi e aveva dato precise disposizioni all’equipaggio - hanno detto i legali -. Di certo, però, non poteva spingersi fino all’ispezione dei camion presenti».
«Chi è rimasto a bordo e ha rispettato gli ordini del comandante si è salvato». Lo hanno detto nelle loro arringhe dinanzi al Tribunale di Bari gli avvocati Fabrizio D’Urso e Alfredo De Filippis, difensori del comandante Argilio Giacomazzi, nel corso del processo per il naufragio della Norman Atlantic avvenuto a largo delle coste albanesi nella notte tra il 27 ed il 28 dicembre 2014 e che causò la morte di 31 persone e il ferimento di 64 passeggeri. A Giacomazzi la Procura di Bari ha contestato i reati di naufragio e omicidio plurimo colposo in concorso con l’aggravante della colpa cosciente, chiedendo nove anni di reclusione. «La nave non ha mai perso stabilità e galleggiabilità, tutti quelli che sono rimasti a bordo agli ordini del comandante si sono salvati», hanno precisato ai giudici.
Quanto alle condizioni meteo avverse, «il comandante in sede di esame ha chiarito di aver valutato scrupolosamente le condizioni meteo attraverso i bollettini ufficiali e il canale meteo francese, ritenuto da lui molto affidabile». I legali hanno aggiunto che la «Norman Atlantic aveva affrontato tratti di mare difficili nell’Oceano Atlantico, in condizioni che non si presentano nell’Adriatico». Inoltre quel giorno «in quel tratto di mare c'erano 129 navi, il traffico era regolare». Il naufragio sarebbe quindi stato causato dallo spegnimento dei motori, «una decisione presa senza il consenso del comandante, sulla quale Giacomazzi non aveva controllo». «Senza questo evento - hanno concluso i difensori - l’incendio sarebbe stato domabile e il mare mosso affrontabile». Si tornerà in aula l’8 marzo per le repliche dei pubblici ministeri.