I nodi
Un Piano per l’acciaio Ue: 100 mld per decarbonizzare
Baku-Jindal, i commissari pronti a segnalare al governo la scelta
BARI - L’Europa vara un nuovo Piano per l’acciaio - in vigore dal primo aprile - per contrastare i dazi americani al 25% e la concorrenza cinese. Bruxelles tende una mano alle aziende siderurgiche varando una riforma delle misure di protezione.
L’Europa si è trovata di fronte a un bivio, come ha spiegato la vice presidente della Commissione Europea Stéphane Séjourné presentando in anteprima il Piano martedì ai giornalisti in un briefing a cui anche la «Gazzetta» ha potuto partecipare. «O accettavamo che l'Europa non sarebbe mai stata competitiva nell'acciaio e ci arrendevamo a essere dipendenti dagli altri. Oppure facevamo tutto ciò che era in nostro potere per mantenere un'industria dell'acciaio sovrana in Europa. E diciamocelo chiaramente - ha aggiunto Séjourné -: negli ultimi dieci anni, abbiamo visto la nostra quota di produzione globale di acciaio ridursi dal 7% al 4%. Quindi, la scelta era chiara. Perché non si tratta solo dell'acciaio stesso, ma riguarda la costruzione, l'industria automobilistica, l'energia rinnovabile e anche la difesa. Questi settori dipendono tutti da un acciaio forte. Non dimentichiamo che l'acciaio è ciò che ha costruito l'Europa».
Il settore «si trova a un punto di svolta critico» tra «costi energetici elevati, concorrenza globale sleale e la necessità di investimenti per ridurre le emissioni di gas serra», avverte Bruxelles, ribadendo come come maxi-sussidi «non di mercato alle sovraccapacità globali e dazi ingiustificati sull'acciaio e l'alluminio Ue possono avere un impatto negativo». Il piano punta innanzitutto a garantire un «approvvigionamento energetico accessibile e sicuro» per il settore, tenendo conto che i costi dell’energia incidono maggiormente sulla produzione dei metalli rispetto ad altri comparti. L’Ue promuove pertanto l’uso di contratti d’acquisto di energia (Ppa) e incentiva gli Stati membri a sfruttare la flessibilità fiscale e le tariffe di rete ridotte per attenuare la volatilità dei prezzi dell’elettricità. Inoltre, favorisce un accesso più rapido alla rete per le industrie ad alta intensità energetica e sostiene l’incremento dell’uso di idrogeno rinnovabile e a basse emissioni di carbonio nel settore. Sul fronte green, per evitare che le industrie spostino la produzione in Paesi con normative ambientali meno severe, entro l'anno Bruxelles proporrà un aggiornamento del Cbam (il meccanismo di adeguamento del carbonio alla frontiera), ampliandone l’applicazione ad alcuni prodotti derivati dall’acciaio e dall’alluminio e introducendo nuove misure anti-elusione per prevenire tentativi di aggirare le regole.
La Commissione Ue punta inoltre a fissare obiettivi per l’uso di acciaio e alluminio riciclati in settori chiave e a valutare misure commerciali sui rottami metallici. Sul fronte dei finanziamenti, nel biennio 2026-2027 l’esecutivo comunitario stanzierà 150 milioni di euro attraverso il Fondo di ricerca carbone e acciaio, a cui si aggiungeranno 600 milioni dal programma Horizon Europe parte del Clean Industrial Deal. Guardando oltre, l’obiettivo è raccogliere 100 miliardi di euro dalla Banca per la decarbonizzazione industriale, sfruttando il Fondo per l’innovazione e altre risorse esistenti. Nel 2025 partirà un’asta pilota da 1 miliardo mirata a decarbonizzare ed elettrificare i principali processi industriali.
Portando la questione sull’area di Taranto, abbiamo chiesto alla vice presidente Séjourné come Bruxelles valuti la vendita degli impianti del gruppo a players extra Ue.
«Non posso commentare sul caso specifico - ha detto -, ma spiegherò la nostra strategia in merito agli investimenti esteri diretti. Vogliamo che l'Europa sia un luogo dove le aziende di tutto il mondo possano investire. Ma incoraggiamo sempre gli Stati membri ad avere una visione strategica su questo, perché la nostra base industriale è anche una questione di sovranità. Nel Clean Industrial Deal, abbiamo annunciato che forniremo gli strumenti agli Stati membri, se lo desiderano, per chiedere delle condizioni quando un'attrezzatura è di proprietà. Possono essere input provenienti dall'Ue, reclutamento locale, trasferimento di proprietà intellettuale, ad esempio. Questo dovrebbe essere preso in considerazione in particolare se ci sono fondi pubblici investiti nel progetto» ha concluso Séjourné.
Intanto, sempre sulla vendita degli impianti ex Ilva, chiusa la fase di rilancio delle offerte, ora i Commissari straordinari dovranno segnalare al governo la scelta del miglior offerente, con cui far partire poi la trattativa in esclusiva. Sarebbe ancora in corso, infatti, il confronto tra Baku e Jindal circa la possibilità di entrare in tandem nel capitale delle acciaierie. Come e in che termini, tuttavia, non è chiaro: alcune indiscrezioni di stampa parlano di una partnership con gli azeri in maggioranza ma il controllo operativo (e la scelta dell’amministratore delegato) in mano agli indiani, mentre altre fonti vicine al dossier riferiscono di un assetto societario «ancora incerto», con l’ipotesi di mandato a trattare solo con Baku. C’è poi la questione della partecipazione di Invitalia. Si tratterebbe, in caso, di una presenza largamente minoritaria, da predisporre tramite emendamento o decreto, su cui il ministero dell’Economia starebbe lavorando. In ogni caso, restano ferme le tempistiche delineate dal ministero delle Imprese e del Made in Italy. Il piano è quello di chiudere entro giugno, mese in cui si esauriranno le risorse messe a disposizione dallo Stato, dando così ai metalmeccanici solo pochi mesi per trattare con la nuova proprietà sui punti cardine, cioè gli aspetti industriali e il lavoro.