L'intervista
Stefania Craxi: «Un lavoro di squadra dietro la liberazione di Cecilia Sala»
Elogia la diplomazia sobria di Meloni e Tajani. Poi i ricordi pugliesi: «Ho portato Bettino sulle Tremiti per una vacanza con Lucio»
Stefania Craxi, senatrice di Fi e presidente della Commissione Esteri, la giornalista Sala è stata liberata dall’Iran ed è già a Roma. La strategia del governo è stata efficace?
«Ha funzionato: abbiamo messo in moto un lavoro di squadra, portato avanti con perizia, in silenzio. In questi frangenti meno polemiche ci sono e più facile risulta sciogliere i nodi, ma non è andata così. Ci sono state dichiarazioni irridenti verso il lavoro della premier Giorgia Meloni e del ministro Antonio Tajani, dei diplomatici e anche un tentativo di polemica sui servizi. In poco tempo, di contro, abbiamo ottenuto un risultato, di cui dovrebbe essere contento tutto il Paese, a partire dall’opposizione e di alcuni suoi settori che in queste ore tentano una puerile polemica dicendo che si è dato vita a un precedente».
La lezione di Bettino Craxi sul Mediterraneo e il Medio Oriente che attualità conserva in questo contesto sempre più instabile?
«Paragonare epoche diverse non è possibile. Viviamo il momento più gravido di pericoli dalla seconda guerra mondiale. Il merito di Craxi, la sua attualità, è quella di aver indicato “la via del Mediterraneo” come orizzonte di pace e il progresso dell’Italia, ma anche quello di aver saputo cogliere in anticipo i fenomeni che caratterizzano il nostro tempo».
A cosa si riferisce?
«Nel documentario “Europa Europa” realizzato dalla Fondazione Craxi, reperibile su YouTube, c’è una testimonianza di Craxi risalente a trent’anni fa: dalle sue parole emerge come avesse intuito in tempi non sospetti fenomeni epocali, come l’immigrazione incontrollata e l’emergere del radicalismo islamico che l’Unione europea e l’Occidente ha visto arrivare con grande ritardo. Craxi, che era un politico di rara e di lungimiranza, mise già allora in guardia su questi dossier, ma non solo, invitando ad approfondirli e a organizzare una risposta. Non a caso ha dedicato grande impegno al tema della riduzione del divario tra Nord e Sud del mondo, anche con l’enorme lavoro svolto con l’Onu sulla riduzione del debito dei paesi poveri, un tema ancora di attualità, seppur con contorni diversi, di cui c’è contezza anche all’interno della cabina di regia del piano Mattei».
Presenterà il libro «All’ombra della storia», edito da Piemme, oggi a Lecce (all’Hotel President), e domani a Bari, presso la Fondazione Tatarella. Come può contribuire un libro-memoir alla necessaria riscrittura revisionista della storia della fine della Prima repubblica nella quale su padre Bettino è stato uno dei protagonisti assoluti?
«L’ho scritto nei ritagli di tempo. Avrà delle lacune ma è scritto con il cuore, attingendo alla memoria e ai sentimenti… Mi auguro che possa ricostruire non solo la figura umana di Craxi ma anche un periodo storico in cui i partiti erano delle comunità e la politica godeva di un primato e di una centralità ora perduta».
Ci sono ricordi della sua infanzia e giovinezza, come quello a Giulino di Mezzegra dove fu fucilato Benito Mussolini.
«Eravamo in gita sul lago di Como, andando a zonzo finimmo casualmente davanti al cancello dove fu ucciso Mussolini. Mio padre si indignò di fronte all’ipocrisia di un’iscrizione sul muro di Villa Belmonte, dove la vicenda si presentava come “fatto storico”. Si infastidì al punto tale che disse: “Gli italiani non hanno avuto il coraggio di scrivere cosa hanno commesso”, ovvero la fucilazione. Tornò in paese e prese dei fiori che depose sul posto. Una grande lezione. mio padre, infatti, non ci ha mai insegnato ad odiare chi era dalla parte sbagliata dalla Storia, né i fascisti prima della guerra e né il Pci nel dopoguerra. Basti ricordare che ha fatto spesso aperture verso il Pci, ripagate con la moneta dell’odio e della demonizzazione, della mistificazione della menzogna. Ma la verità si fa strada…».
Come si caratterizzava il profilo riformista del craxismo: dal piano istituzionale a quello economico?
«Ha fatto un sacco di riforme sul piano politico ed economico. L’unica che non è riuscito a fare, e non certo per sua determinazione, e che invocava dal 1978 era la riforma istituzionale. Voleva il Paese in condizione di avere una “democrazia governante”, con un governo dai meccanismi decisionali forti e certi e una stabilità del sistema con un ruolo di iniziativa e di controllo forte del parlamento. Non ha mai trovato una maggioranza politica per realizzare la “Grande Riforma” che lui immaginava in senso semi-presidenziale. Quante crisi e interventi tecnocratici ci saremmo risparmiati! Poi le sue realizzazioni riformiste sono state numerose, tra le altre il decreto di San Valentino, l’approvazione delle leggi di spesa con voto palese, l’istituzione per la prima volta del ministero dell’Ambiente, l’istituzione della commissione per le pari opportunità a Palazzo Chigi, la riforma del Concordato…».
La classe dirigente del Psi era affiancata da personalità esterne come Vittorio Gassman, Sergio Zavoli, Achille Bonito Oliva, Giuliano Ferrara e Francesco Alberoni. Si è parlato con esecrabile semplificazione di “mariuoli”, ma scorrendo i nomi che ha inserito in un elenco sterminato dell’assemblea del Psi, si ha ben altra immagine.
«L’assemblea socialista era composta da nomi importanti dell’accademia e della società civile: registi, attori e manager di stato. Mai un partito si era cosi’ aperto alla società civile. Era quello il senso: avere un nuovo apporto per il partito dalla società».
L’amicizia con Lucio Dalla, in gioventù per un breve periodo frequentante la Giovane Italia del Msi, è legata anche alle Tremiti.
«Mio padre gli disse: “Dalla sei mio amico, perché non mi voti…”. Ho portato anche Bettino alle Tremiti. Negli anni Ottanta. Andammo in un albergo, Lucio aveva un appartamento in un edificio a schiera. Ho ricordi bellissimi».
Il rapporto di suo padre con la Puglia. Chi erano i suoi “compagni”?
«Qui ne aveva tanti, il senatore Amleto Monsellato a Biagio Marzo, Claudio Signorile, Rino Formica, Claudio Lenoci, Gianvito Mastroleo. Tra gli amici, ricordo un avvocato pugliese di Mola, Tommy Pesce che viveva a Milano, ci invitò in un trullo in vacanza. Mia madre si lamentò perché avevo imparato il barese stretto…».
Il riformismo dal 1994 ha trovato casa nel centrodestra. I socialisti andati a sinistra cosa si sono persi?
«L’elettorato del Psi è andato per la quasi totalità nel centrodestra, mentre la classe dirigente è rimasta a sinistra per una forma di nostalgia o routine, un po’ per opportunismo per stare sotto l’ombrello protettivo di una certa gauche, racimolando però solo briciole. Ho sempre pensato che anziché sventolare vecchi simboli, fosse meglio sventolare idee e dare nuova linfa ai progetti. Ecco, in Forza Italia queste idee hanno trovato una casa, grazie a tante intelligenze che qui si sono ritrovate - penso a Don Gianni Baget Bozzo per andare alle origini - e per la capacità di comprenderle e valorizzarle prima di una personalità straordinaria come Silvio Berlusconi e oggi di Antonio Tajani».
L’ultimo pensiero di suo padre, prima della dipartita ad Hammamet, è per Gallipoli, ispirato da un servizio sulla città salentina in una trasmissione televisiva di Paolo Limiti…
«Ho sempre imparato a leggere i non detti. Aveva un pudore dei sentimenti che difficilmente verbalizzava: la nostalgia del suo paese la sentivo a pelle».