Il fenomeno

Accoglienza, posti liberi: «Altro che invasione»

Carmela Formicola

Dossier esplosivo di ActionAid e Openpolis: il sistema non è al collasso

Altro che «invasione»: al 31 dicembre 2021 c’erano oltre 20mila posti liberi nei centri italiani dedicati all’accoglienza dei migranti. «Il sistema è tutt'altro che "al collasso"», sentenziano ActionAid e Openpolis, i due organismi che firmano il dossier «Il vuoto dell’accoglienza. Centri d’Italia 2022».

Uno studio che non ha precedenti. La prima radiografia completa dell’accoglienza italiana dei popoli in fuga tra il 2018 e il 2022 che non solo rivela (a sorpresa) le migliaia e migliaia di posti liberi nei vari centri (Cas, Hotspot e Sai) ma evidenzia anche le drammatiche carenze di un sistema che non a caso viene eternamente gestito nell’alveo dell’emergenza.

Uno studio tutt’altro che facile perché reperire i dati con l’accuratezza che connota il dossier di ActionAid e Openpolis è stato tutt’altro che semplice sia perché molte Prefetture d’Italia non hanno un vero censimento dei numeri e delle azioni in campo, sia perché il Ministero dell’Interno si è a lungo rifiutato di fornire dati statistici: ci è voluta una sentenza del Consiglio di Stato per aprire infine qualche armadio e scavare in una delle esperienze più controverse della storia d’Italia.

Nessuna invasione, dunque, nessun «sistema al collasso» come spesso viene ripetuto. Ma l’hotspot di Lapedusa scoppia? L’effetto ottico dei numeri degli arrivi su una piccolissima isola, consente di alimentare la leggenda dell’invasione, dicono gli analisti di ActionAid e Openpolis.

Sgraniamo qualche numero Nel 2022 sono sbarcate in Italia 105mila persone, una cifra superiore rispetto all’anno precedente. Tuttavia nel 2016 furono quasi il doppio del 2022.

Nell'analisi del sistema di accoglienza spicca il dato sui posti liberi nei centri: al 31 dicembre 2021 c’erano oltre 20mila posti liberi in Italia.

Nel 2021 erano attive 8.699 strutture. Dal 2018 sono stati chiusi più di 3mila 500 centri (-29,1%). I posti messi a disposizione nel sistema erano poco più di 97mila, di cui però il 60,9% nei centri di accoglienza straordinaria (Cas).

Sono quasi 63mila i posti nei Cas e nei centri di prima accoglienza, a fronte di 34mila posti nel sistema di accoglienza e integrazione (Sai).

Dal 2018 al 2021 i centri di accoglienza sul territorio italiano sono passati da 12.275 a 8.699 unità. Sono stati chiusi 3.576 centri, con un calo del 29,1%. La chiusura di molti centri deriva innanzitutto dalla forte contrazione degli arrivi, che ha di conseguenza portato alla riduzione del numero di posti nel sistema. Alla luce di questa contrazione sembra essere mancata una strategia utile a guidare le scelte su quali tipologie di centri chiudere, di che dimensioni e in che territori.

E la «sostituzione etnica» temuta ad esempio dal ministro Lollobrigida? Al 31 dicembre 2021 i richiedenti asilo e rifugiati ospitati nei centri rappresentavano lo 0,13% della popolazione italiana.

Esiste ad ogni modo, secondo ActionAid e Openpolis, un «problema madre». Lo spiega Michele Rossi, direttore di Ciac onlus (organizzazione che si occupa di diritti e accoglienza in Emilia Romagna). «In 20 anni di sistema pubblico non sono stati definiti criteri, attori e luoghi istituzionali dove si decide chi entra e chi no, e dove si fa un'analisi del bisogno sulla base della quale programmare. Se è un’accoglienza di diritto, e lo è per legge, non può essere basata sulla disponibilità dei posti come criterio prioritario, o sulla casualità e arbitrarietà con cui qualcuno si rende disponibile. Non c’è una procedura di accesso all’accoglienza nel nostro Paese. Non c’è un’amministrazione pubblica che risponde a una persona che ha il diritto di protezione. Tutto si basa su procedure informali, che spesso variano da territorio a territorio, senza criteri formalizzati e senza luoghi che governino il sistema. Questo secondo noi è il “problema madre” ed è una questione parecchio opaca».

A proposito di «opacità» va detto che nel più grande bacino dell’accoglienza di migranti, Roma, 8 posti su 10 sono in mano a un unico gestore. Si tratta di Medihospes, una cooperativa sociale che nel 2021 contava su 3mila 500 dipendenti, sfiorando i 90 milioni di ricavi. Negli anni precedenti al 2018 Medihospes si chiamava Senis Hospes (con sede a Senise, in Basilicata dove ha sede anche la nota società Auxilium dei fratelli Chiorazzo). Nel corso del 2018 ha incorporato Tre Fontane, un altro grande gestore dell’accoglienza in Italia, che prima di allora era sua cooperativa ausiliaria. Medihospes ha fatto parlare di sé in questi anni. Innanzitutto perché, secondo un’inchiesta di Repubblica del 2015, avrebbe condiviso sedi e iniziative promozionali con il gruppo La Cascina, uno dei soggetti al centro dell’inchiesta «Mafia capitale». In secondo luogo perché è stata tra i gestori del Cara di Borgo Mezzanone e del Cara di Bari Palese, luoghi noti per le condizioni fatiscenti nelle quali i migranti sono costretti a vivere.

Già, le «condizioni di vita». Ci sono ispezioni, controlli, verifiche sulla qualità dell’accoglienza. Anche i dati delle ispezioni sono avvolti nella nebbia. ActionAid e Openpolis si soffermano su un anno pilota, il 2019: dei 3.570 controlli effettuati, le contestazioni risultano essere 2.522. Tra tutte, le più ricorrenti hanno riguardato irregolarità logistico-amministrativo-strutturali (67,3%), la fornitura di beni (19,4%) e i servizi alla persona (13,3%). È l’altro grande, inquietante capitolo della cosiddetta «emergenza»: alle donne e agli uomini in fuga da guerre e miseria l’Italia riserva condizioni di vita spesso al disotto della soglia di dignità, nonostante i milioni di euro intascati dai gestori di Cas, Hotspot e Sai per garantirne l’accoglienza.

LA REPLICA

«Noi della Medihospes in prima linea nella gestione trasparente dell’accoglienza»

La cooperativa sociale Medihospes ribadisce il proprio impegno nel mondo dell’accoglienza. Lo fa in riferimento al rapporto «Il vuoto dell’accoglienza. Centri d’Italia 2022» firmato da ActionAid e Openpolis, pubblicato dalla Gazzetta nei giorni scorsi. Primo chiarimento: il fatturato della coop derivante dall’attività di accoglienza di richiedenti asilo non è di 90 milioni di euro ma di 47.611,47 milioni di euro. «Il totale della spesa dello Stato per l’accoglienza e integrazione dei migranti raggiunge gli 853 milioni di euro, cifra che fa capire l’effettiva incidenza della Medihospes su tali risorse, ovvero il 5%».

Sul buon operato della Medihospes inoltre «non ci sono ombre né tantomeno segni di cattiva gestione. Solo a voler rammentare il periodo più recente, sono stati numerosi i riconoscimenti ottenuti a livello nazionale e internazionale dalla cooperativa sociale a cominciare dal logo WeWelcome conferito dall’UNHCR - Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, Rappresentanza per l’Italia la Santa Sede e San Marino per gli anni 2019 e 2020-2021».

E la discussa gestione dei Cara di Bari e Borgo Mezzanone? «Si ribadisce che le condizioni fatiscenti si riferivano alla località di Borgo Mezzanone e alle aree esterne ai Cara gestiti dalla Medihospes. All’interno dei Cara le Autorità non hanno mai rilevato irregolarità». Oltre tutto, si tratta - nel caso di Bari - di fatti «risalenti a oltre venti anni fa». La Medihospes sottolinea come «i procedimenti si siano conclusi con sentenze definitive di proscioglimento e assoluzione, spiace ancora doverne riparlare».
Quanto ai legami con il Gruppo La Cascina, la Medihospes nel 2015 non era ancora stata costituita. E il procedimento denominato «Mafia Capitale» si è concluso con un passaggio decisivo della Corte di Cassazione che «ha definitivamente escluso la sussistenza della connotazione mafiosa».

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