L'intervista
Fini a Bari: «La Meloni è un modello. Sull'Ucraina linea coerente a difesa della libertà dei popoli»
«Qui in Puglia ho vissuto momenti magici per le vittorie e i consensi della destra. Ma si rinnova anche il dolore per la scomparsa del caro Pinuccio Tatarella, andato via troppo presto»
BARI - Uno sguardo lucido sulla politica e sulla nuova stagione della destra di governo (tra guerra e rapporto con l’Ue) insieme alle forti emozioni legate al ritornare a Bari, città che gli ha tributato - da leader del Msi e di An - autentici bagni di popolo, oltre al riaccendere la memoria dell’amicizia con Pinuccio Tatarella, ideatore della trasformazione della Fiamma in forza di governo: Gianfranco Fini è tornato in Puglia per la presentazione del libro di Giuseppe Scopelliti «Io sono libero» all’Università di Bari e prima di partecipare alla tavola rotonda ha visitato la Fondazione Tatarella in via Piccini, dove ha risposto alle domande della «Gazzetta».
Presidente Fini, quali i ricordi più forti in Puglia?
«Tanti. Qui ho vissuto momenti magici per le vittorie e i consensi della destra. Ma si rinnova anche il dolore per la scomparsa del caro Pinuccio Tatarella, andato via troppo presto. Poi qui sono venuto nel 1978: ero da poco segretario nazionale del Fronte della Gioventù e partecipai ad una assemblea infuocata per le rimostranze dell’area rautiana».
Il Richelieu delle Puglie ha lasciato progetti incompiuti?
«L’ultima volta che l’ho sentito prima della maledetta giornata nella quale è morto, discutevamo sulla sua idea di andare “oltre il polo”. Era un vulcano di provocazioni culturali. Immagina una destra e una alleanza di centrodestra dai connotati ariosi».
Da qui la definizione di «ministro dell’armonia».
«Sorridevamo spesso sulla parola “armonia”. Era uomo che animava conflitti, ma sapeva quando fermarsi per il bene comune. Voleva un’Italia bipolare, e soprattutto dare una casa, un grande polo, a chi non si ritrovava nella storia della sinistra. Poi le racconto un aneddoto».
Prego.
«Ora i progressisti parlano di “campo largo”. Ma quello era il modello di Pinuccio. Quando nel 1993 il Msi vinse in tanti comuni e sfiorò la vittoria a Roma e Napoli, molti dicevano: basta la destra per competere. Tatarella invece pensava alla casa delle culture politiche alternative alle sinistre. Stava crollando la partitocrazia, Pinuccio lanciò il seme di una destra post-ideologica e non nostalgica».
Tornando alle vittorie del 1993, il Msi vinse nella città di Di Vittorio, a Cerignola, e Giorgia Meloni,è stata ospite d'eccezione a Rimini al congresso della Cgil, casa del leader pugliese dei braccianti…
«Guardi, veniamo dal Msi, un partito che credeva nella politica, e ha sempre rispettato gli avversari, a condizione di ricevere uguale rispetto».
Nella sala una volta dedicata ai ragazzi missini entra Giuseppe Tatarella, nipote del leader, e ricorda l’amicizia tra «Pinuccio e Luciano Violante» con aneddoti antichi.
Il presidenzialismo torna di attualità.
«Dal 1983 abbiamo avuto bicamerali a iosa. Ricordo quella guidata da Massimo D’Alema. Grazie al lavoro di diplomatica tessitura di Pinuccio, passò l’ipotesi del semipresidenzialismo. In quella fase Tatarella riuscì a dialogare con Gerardo Bianco del Ppi con l’elezione di un capo dello stato all’austriaca, eletto dal popolo come simbolo di unità nazionale. Fu un capolavoro».
Anche la Meloni spinge per rafforzare l’esecutivo.
«Ci sono forti ragioni per rendere più solida la nostra democrazia, anche per il crescente astensionismo. Bisogna garantire il ruolo del potere legislativo, ma anche rendere anche più stabile e incisivo il governo, che ha bisogno di continuità d’azione».
I primi mesi di Giorgia Meloni al Palazzo Chigi?
«La ricordo fin da ragazza. Si è affermata da sola, nessuno le ha regalato nulla. È capace, sa che non ci si improvvisa. Il governo obbliga alla competenza».
Gli osservatori scrutano le divisioni della maggioranza. Come stanno le cose?
«L’Italia ha bisogno di stabilità, e questa volta è stata garantita dagli elettori. Il governo resta in carica finché la Meloni la riterrà. Ha i numeri».
L’opposizione del Pd di Elly Schlein?
«Guardo con favore alle donne in politica, e con la Schlein i dem non prenderanno nemmeno in considerazione un percorso di responsabilità nazionale».
Nessun inciucio in vista?
«No. La situazione è invidiabile. La coalizione di centrodestra non ha alternative».
Nel Sud fa discutere la riforma dell’autonomia. Come giudica lo stato dell’arte?
«Il percorso è lungo, con tanti passaggi. Non nascondo che c’è qualche problema, ma l’impianto uscito dal consiglio dei ministri non autorizza nessuno a dire che l’Italia si spacca in due».
Diceva dei problemi…
«La partita è sui Lep e sulla spesa nelle regioni del Sud: se si adotta il criterio della spesa storica bisogna introdurre valide compensazioni».
La linea sulla guerra?
«Dopo l’invasione russa è un dovere morale oltre che politico stare nel fronte occidentale e aiutare l’Ucraina a resistere. Il governo attuale è un buon esempio per tanti. La Meloni si sta facendo apprezzare per coerenza assoluta sul dovere morale di difendere l’autodeterminazione dei popoli e la libertà».
Siamo di fronte a nuovi schemi mondiali?
«Il confronto è tra l’occidente e democrature come la Russia o dittature come la Cina».
La questione immigrazione?
«Gli italiani iniziarono ad aprire gli occhi dopo sbarchi come quella della Vlora a Bari. Ho firmato una legge sul tema, ma è superata. Lo scenario globale è cambiato. Noi prevedemmo l’ingresso a chi dimostrava di poter avere un reddito. Ora ci sono flussi biblici. Si arriva in Italia per fuggire da guerre, pandemie, catastrofi. Ci vogliono nuove norme ma nessuno può pensare che un paese fronteggi un fenomeno così da solo».
Un ultimo amarcord.
«Quando venivo qui, Pinuccio mi portava sempre al ristorante la Pignata. Serate indimenticabili di politica e amicizia».