POTENZA - «Quello che emerge dalla vicenda giudiziaria dell'ex Daramic è che ancora una volta nel nostro territorio si è permesso di far svolgere attività industriali con alto profilo impattante ed inquinante senza alcun controllo da parte delle istituzioni pubbliche regionali tutte. Un quadro sempre più desolante che ha di fatto determinato danni all’ambiente e anche alla salute dei lavoratori». Lo afferma il segretario generale dello Spi Cgil Basilicata Angelo Summa. «Sono anni - prosegue - che come Cgil abbiamo denunciato le responsabilità e l’inerzia di chi aveva responsabilità di governo, compresa la parte dirigenziale, che dovrebbe essere terza e svolgere i propri compiti con responsabilità e imparzialità nell’interesse generale. Adesso si faccia fino in fondo chiarezza e si proceda con la messa in sicurezza dell’area, atteso che ci siano risorse ingenti per completare la bonifica, a tutela del territorio e della comunità tutta. C’è bisogno di costruire azioni e investimenti affinché ci possa essere quel giusto equilibrio tra lavoro e ambiente».
Va ricordato che nei giorni scorsi i carabinieri del Nucleo Operativo Ecologico di Potenza hanno eseguito nell’area industriale di Tito il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca, dell’intera area della Daramic, multinazionale statunitense leader nel mercato della produzione di componenti per separatori di batterie.
Si tratta di una superficie, paesaggisticamente vincolata, di 48 mila metri quadri all’interno di un sito d’interesse nazionale inquinato.
Il provvedimento, emesso dal gip del Tribunale di Potenza ed eseguito con la notifica di conclusione indagini, è stato adottato nei confronti di 13 indagati: sei funzionari pubblici e sette appartenenti al management, tra cui due residenti oltralpe e due curatori fallimentari, tutti accusati di disastro ambientale aggravato, omessa bonifica e discarica abusiva.
Le indagini, iniziate nel 2023, hanno riguardato i dirigenti delle società, ma anche alcuni funzionari pubblici che «pur conoscendo la gravità dell’inquinamento e l’inerzia del soggetto responsabile, in violazione di un obbligo giuridico - è spiegato in un comunicato firmato dal procuratore della Repubblica di Potenza facente funzioni, Maurizio Cardea - avrebbero omesso di sostituirsi ad esso e attuare le procedure di bonifica».
L’accusa è la mancata rimozione di una sorgente primaria di contaminazione da tricloroetilene la cui attività avrebbe significativamente compromesso e deteriorato la falda acquifera ben oltre i confini del Sin, essendo stata rinvenuta la sostanza, con valori 110 volte superiori al limite di legge anche in aree a vocazione agricola e nel torrente Tora.