Riecheggiano nel pianeta Stellantis le parole del ministro Giorgetti che nell'ultimo “question time” ha ribadito la volontà di far rispettare ai vertici societari gli impegni assunti con il Governo italiano. In ballo ci sono oltre 5 miliardi di euro del maxi finanziamento ottenuto da Fca nel 2020, di cui Roma si è fatta garante per l'80 per cento. Ma, soprattutto, il destino di migliaia di lavoratori, a cominciare da quelli dello stabilimento di Melfi (Potenza), alle prese con lunghi periodi di cassa integrazione.
Da una parte la voce di Roma che arriva a Parigi come un sussurro, dall'altra le rassicurazioni dell'amministratore delegato Tavares sulla centralità di Melfi: nel mezzo una situazione che preoccupa, inquieta, mette ansia, la cui evoluzione traduce ogni impegno verbale in discorsi dalla vacuità "pneumatica”, per restare in tema automobilistico. I fatti stanno andando nella direzione diametralmente opposta agli annunci. Non solo a Melfi si continuano ad inanellare settimane di Cig, ma da lunedì scatterà anche una fermata collettiva sul terzo turno, quello notturno. L'azienda giustifica il provvedimento segnalando ancora una volta le difficoltà legate alla situazione di mercato, alla mancanza di semiconduttori a livello globale per tutti i costruttori automobilistici in Europa, America e Asia. La decisione di spegnere le luci dello stabilimento fino al 24 maggio (sperando che non ci siano proroghe) impatterà sulle buste paga dei dipendenti, già alleggerite da mesi di “stop and go” della produzione. Invano i sindacati avevano più volte proposto all'azienda delle soluzioni alternative per cercare di non intaccare ulteriormente il salario, ma quello delle decurtazioni è un pozzo di San Patrizio a cui ogni azienda, che dice di essere in difficoltà, attinge senza soffermarsi troppo sui riverberi fuori dai propri confini d'interesse.
Sacrifici su sacrifici chiesti ai lavoratori che stridono di fronte alle performance di vendita del gruppo registrati nel primo trimestre 2021: con una quota complessiva di mercato del 23,6 per cento, infatti, Stellantis ha conquistato il vertice delle vendite globali europee che comprendono le autovetture e i veicoli commerciali leggeri. Un segnale di tenuta rispetto all'onda d'urto dell'emergenza sanitaria, ma che, evidentemente, non produce benefici sul personale di Melfi, spettatore di una programmazione che conferma la produzione della Jeep Compass e di tutti i modelli ibridi e utilizza la mannaia sulle motorizzazioni tradizionali di 500X e Renegade. Entrambe subiranno una sostanziale flessione.
Segnali contrastanti disegnano traiettorie indecifrabili sul destino dello stabilimento lucano che sta assistendo a una “migrazione” di operai verso la fabbrica di Poissy: un trasferimento volontario e temporaneo, di tre mesi, dietro la promessa di incentivi economici. Proposta allettante per i lavoratori, soprattutto in questo periodo di magra. Ma il dislivello produttivo tra stabilimenti dello stesso gruppo genera dubbi, sospetti: perché Melfi continua a fermarsi e siti Oltralpe producono così tanto da richiedere rinforzi? L'ennesimo interrogativo che avviluppa il futuro di Stellantis su cui occorre fare chiarezza andando al di là delle frasi di circostanza e di impegni fumosi.
Sull'intera questione la Regione Basilicata promuoverà un tavolo di confronto mercoledì prossimo. Ma è bene essere chiari fin dall'inizio, sgombrando il campo da aspettative illusorie: Stellantis, quarto gruppo industriale del mondo, ragiona con logiche globali. Interloquire alla pari non è facile per nessuno. Neppure Obama ebbe vita facile per convincere Marchionne all'epoca dell'accordo Chrysler. Chi governa il territorio dove Agnelli nel 1991 calò la sua astronave può fare ben poco. E' Roma che deve intervenire, costringendo Parigi e i vertici societari a uscire dall'alveo degli equivoci e a indicare numeri certi e vincoli precisi che riguardano gli interessi italiani.