Ospedale
Potenza, il neo dg Spera: «Siamo in piena tempesta, ma il San Carlo reagisce»
L’azienda ospedaliera regionale tra pandemia, difficoltà e programmi per il futuro
Da commissario a direttore generale ma il nome resta lo stesso, quello di Giuseppe Spera. Per il San Carlo, però, è tutt’altro che un caso di cambiare tutto perché nulla cambi, alla Tomasi di Lampedusa, perché l’approdo al vertice della più importante struttura ospedaliera regionale, e uno delle più importanti del Mezzogiorno, di questo dirigente formatosi proprio nella sanità lucana è per molti aspetti un segno di cambiamento. A iniziare dal fatto che avviene a due anni dalla selezione fatta dalla Regione per il manager e dopo una vicenda giudiziaria che ha portato alla decadenza del nome scelto dalla giunta Pittella oramai in regime di prorogatio.
Ingegner Spera, una parentesi di due anni tra ciò che poteva essere e ciò che è stato...
«Due anni, io la vedo così, soprattutto di lavoro profuso per il sistema sanitario regionale nelle varie vesti: direttore dell’area tecnica del San Carlo, in una posizione per tanti motivi travagliata, poi direttore amministrativo all’Asp in un momento particolare per l’emergenza Covid in cui abbiamo fatto, ritengo, un lavoro egregio con screening, sul territorio e nel turismo, monitoraggi a casa per i pazienti, campagne di tamponi e quant’altro. Iniziative che hanno consentito di controllare l’epidemia. E ora quattro mesi di commissariamento che hanno dato buoni risultati.
Ecco, fermiamoci su questi ultimi mesi: una partenza in piena bufera
«Sinceramente possiamo dire che la vera ondata epidemica è proprio questa che fronteggiamo in questi mesi, con una pressione venti volte superiore a quella della prima ondata. Ma con una soddisfazione non solo personale posso dire che abbiamo garantito la tenuta del sistema sia pure con qualche sbavatura legata a contingenze, come le ambulanze in coda che si sono viste qualche sera per rispettare i percorsi in sicurezza. Ma abbiamo garantito a tutti un’assistenza dignitosa e questo triplicando i posti letto tra malattie Infettive, Pneumologia e Medicina interna per garantire posti ai pazienti Covid ma senza dimenticare le altre patologie».
Ecco, le cure per così dire “normali”, quelle che si erano praticamente fermate nella prima fase.
«Quell’emergenza è in gran parte alle spalle. Non solo sono ripartiti gli ambulatori, ma abbiamo anche abbattuto le liste di attesa che si erano create, recuperando in alcuni casi anche l’80 per cento dell’arretrato, abbiamo ripreso l’attività chirurgica e con un aumento degli interventi del 30 per cento. Un buon percorso che la collettività ha recepito e anche chi ci governa».
E siamo al rapporto con la Regione. La sua nomina arriva da un governo di un colore politico a cui non è immediato ricondurla. Era più facile ritenerla vicino a chi, invece, ha determinato questi due anni di ritardo
«Io faccio il tecnico. Ho cercato di dare tutto alla sanità della Regione Basilicata da 16 anni, indipendentemente da chi governa e dai colori. Ci sono momenti in cui l'ho fatto in alcuni ruoli e non in altri. Adesso mi è stato dato spazio, e ringrazio per questo la giunta regionale, per dare un apporto con maggiore incisività e qui non c'è colore che tenga ma ritengo ci sia il riconoscimento dell’attività fatta e della professionalità. Dovrebbe essere sempre così. Chi non è bravo dovrebbe essere scartato da qualunque governo, amico o nemico che sia».
In ogni caso sulla sua gestione non sono mancate polemiche. In particolare da ambienti che prima si sentivano in qualche modo più coinvolti
«Se qualcuno ha nostalgie, i nostalgici ci sono sempre stati, mi auguro che rientrino appena possibile ma non mi influenzano»
Si aspetta di essere sottoposto a pressioni? Dall’interno? Dall’esterno?
«No. Mi aspetto di essere oggetto di richieste positive, Di istanze che non hanno avuto risposte e ora sono urgenti: personale, tecnologie, interventi infrastrutturali, integrazione tra i diversi presidi che compongono l'azienda . Non credo di dover essere oggetto di pressioni di altro tipo, uno perché non ce ne sono state nella mia vita professionale e due perché non faccio parte di gruppi».
E se per pressioni intendiamo polemiche e veleni da parte di chi non ha ciò che desidererebbe?
«Io non amo rispondere alle polemiche e alimentarle nonostante in questo periodo si sia fatto di tutto nonostante si sia cercato di buttare fango senza alcun fondamento. Penso all'obiettivo, alle cose che servono per tutti e non a chi si alza la mattina e cerca qualcosa da dire. Le risposte so che devo darle sul campo».
E allora entriamo nel merito: che tipo di azienda ospedaliera pensa per la Basilicata: c'è spazio anche per l'altissima specializzazione su un bacino così piccolo o va preferita la routine, la prossimità?
«Io credo che bisogna seguire entrambe le strade, dando risposte al cittadino bisognoso di benessere nella quotidianità e nel rispetto del principio di sussidiarietà. Il fatto di avere sedi dislocate sul territorio è un punto di forza che ci consente di avvicinarci al cittadino in qualunque zona, perché ha diritto a non spostarsi necessariamente per un fabbisogno semplice. E questa configurazione ci consente anche di essere attrattivi per i territori limitrofi con 5 plessi che possono rappresentare un richiamo. Ma vanno perseguite anche punte di eccellenza come elemento qualificante. Tecnologia e professionalità ne abbiamo e dobbiamo tirare fuori la vocazione di ciascun presidio: ciascuno può dare risposta di eccellenza su alcuni settori, senza farsi la guerra e integrandosi. Questo permetterà di avere una risposta base ma anche risposte di eccellenza.
Lei il San Carlo lo conosce bene: pregi, difetti, limiti; quanto c'è da cambiare?
«Penso che la prima cosa da cambiare, e cercherò di farlo con tutte le mie forze, è ricreare uno spirito di squadra. Negli ultimi anni si è perso il senso di appartenenza a qualcosa che ha valore per noi e per gli altri. Anni indietro si era fieri di portare sulla giacca la spilletta del San Carlo. Questo oggi non succede più, ma è fondamentale. Fare squadra significa essere sicuri di avere vicino persone che collaborino e diano il massimo. È il primo elemento. Poi ci sono elementi più semplice da governare, creare condizioni giuste per lavorare: serve più personale, servono soluzioni per gli specialisti che in regione scarseggiano perché scontiamo anni di mancanza di università e percorsi di specializzazione, serve tecnologia da tenere sempre all'avanguardia e anche modelli organizzativi differenti per arrivare a sistemi di organizzazione più legati al processo che alla vecchia logica di strutture operative classiche».
Chi l'ha preceduta ha avuto un atteggiamento duro con i medici: esistono baronie, rendite di posizione?
«Io sono stato nel San Carlo per 15 anni. Questo discorso fatto di dover scardinare baronie credo sia stato un modo di far ritenere che ci fosse una contrapposizione tra professionisti e direzione derivante da posizione di potere che si volevano preservare. È diventata un culla per altri tipi di problematiche. Senza dubbio è necessario che non ci siano compartimenti stagni, vantaggi di alcuni su altri, ma credo che onestamente questo non sia il problema centrale dell'Azienda ospedaliera. Conosco professionisti che danno all'azienda molto più di quello che sarebbero obbligati a dare, in termini orari, prestazione, dedizione. Dobbiamo mettere tutti in un quadro di serenità».
E in questo quadro ora va ricompresa anche la sfida della Facoltà di Medicina: porterà più problemi o opportunità?
«Porterà più opportunità. Questa regione, ne facevo cenno prima, sta scontando l'assenza di percorsi di specializzazione. Quando un giovane si laurea e si specializza all'interno di un ospedale e di un’altra realtà è difficile che possa rientrare in regione perché si è fatto una vita, amici e relazioni in altro luogo. Questo è un beneficio che la Basilicata avrà dalla Facoltà di Medicina che va ben oltre ogni difficoltà. È però necessario accompagnare con cura questo percorso tra mondo sanitario che sta operando bene per tanti aspetti e un modo accademico che deve andare necessariamente a innestarsi in una realtà operativa».