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Basilicata, l'allarme degli esperti: «Non accettar caramelle da Galindo»

 
Enzo Fontanarosa

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Enzo Fontanarosa

Basilicata, l'allarme degli esperti: «Non accettar caramelle da Galindo»

L'appello ai genitori: non abbandonate i vostri figli soli a girare in internet

Lunedì 05 Ottobre 2020, 15:35

POTENZA - Il web e i social non sono la balia a cui affidare i figli. Saranno anche “nativi digitali”, ma gli adolescenti, per lo più, sono ignari delle insidie che si celano in “rete”. Cosa devono fare i genitori, allora, per difendere i figli? Spieghino loro che ogni paura la condividano con i genitori, avvisandoli subito se in rete fossero “avvicinati” da qualcuno. Si riparla delle “challenge” sul web, con adolescenti che devono superare sfide pericolose, che imporrebbero atti di autolesionismo. Da ultimo, un fantomatico Jonathan Galindo adescherebbe giovani sul web. Un nome alla ribalta dopo che bambino si è lanciato nel vuoto dalla sua casa a Napoli. Sulla sua morte, l’ombra della sfida social. 

Non lasciamo soli i ragazzi “online”. Ma come possono, e devono, fare i genitori per difendere i figli dalle insidie del web e delle nuove tecnologie? Imparare a conoscerle e, dunque, a spiegarle, sarebbe un modo sicuro per proteggerli. Privarli dell’accesso alla “rete”, non è certo sufficiente: potrebbero ricercare altrove quello che si vieta, come a casa di un amico mentre si studia. Una situazione che impedirebbe il controllo. Meglio, comunque, spiegare ai figli che ogni paura la condividano con i genitori, avvisandoli subito se in rete fossero “avvicinati” da qualcuno. Episodi di cyberbullismo a parte, è tornato alla ribalta il fenomeno delle “challenge” sul web, che coinvolgerebbero adolescenti che devono superare sfide di crescente pericolosità e imporrebbero pure atti di autolesionismo fino ad arrivare al gesto estremo di togliersi la vita o uccidere una persona cara. Da ultimo ci sarebbe un fantomatico Jonathan Galindo che adescherebbe giovani sui social. Un nome rimbalzato alle cronache in relazione all’episodio che ha visto, alcuni giorni fa, un bambino di undici anni togliersi la vita lanciandosi nel vuoto dalla sua casa di Napoli. Sulla sua morte, l’ombra della sfida social. Ricordiamo, poi, anche il Blue Whale Challenge: tra il 2017 e il 2019, nel mondo, avrebbe portato al suicidio di oltre 200 giovani.

Su come comportarsi con i ragazzi, specie in età adolescenziale, di fronte ai pericoli del web, ne abbiamo parlato con la dott.ssa Maria Antonietta Amoroso, vice presidente dell’Ordine degli Psicologi della Basilicata.
«In episodi come quello tragico di Napoli, è importante non fare relazioni del tipo “Galindo = morte del ragazzino”. Possono esserci tanti fattori a determinare un gesto estremo. È chiaro che la cosa metta ansia nei genitori che sono attenti, in quanto pensano che la stessa cosa possa capitare a tutti», dice la psicologa e psicoterapeuta. «Il messaggio ai genitori – continua – è che non debbono essere troppo permissivi con i figli, specie se minori, consentendo loro di regolare le proprie attività in modo autonomo. Ciò significa omettere il controllo. Ci si deve assumere, invece, responsabilità e dare delle regole. Altrimenti, si incoraggerebbe a non osservare queste ultime, evitando il controllo sui figli. La genitorialità permissiva è un fattore a rischio di questi comportamenti».
È importante che «la scuola con gli insegnanti, insieme ai genitori, capiscano come funziona il web. Specie i cosiddetti “nativi digitali” sono cresciuti con i mezzi telematici, che padroneggiano ma ne sottovalutano o non vi scorgono i pericoli. Non a caso, nel periodo del lockdown, li hanno utilizzati, in quanto una risorsa positiva, che perciò non vanno demonizzati ma conosciuti e utilizzati come mezzi di conoscenza. Certamente non come balie per tenere compagnia ai ragazzi al posto dei genitori».

Sul drammatico risvolto della vicenda “Jonathan Galindo”, trasposizione social dell’uomo nero, la dott.ssa Amoroso è del parere di non sapere «fino a che punto questo fenomeno abbia determinato la morte dell’undicenne. Quando si parla del suicidio di un minore in fase adolescenziale, ci si potrebbe trovare di fronte anche a delle problematiche di tipo psichiatrico. Penso ai cosiddetti eventi psicotici: io posso avere un’allucinazione, come l’“uomo nero”, e seguirlo o scappare. Bisognerebbe capire bene cosa sia successo, in quel caso. Affermare che ci sia corrispondenza tra “Galindo” e la morte del ragazzo, non so fino a che punto possa esserci. C’era di sicuro una fragilità che non è stata percepita dai genitori. Il ruolo genitoriale, ribadisco, è fondamentale nel prevenire determinati comportamenti. Molte volte abbiamo ragazzi che sembrano fortissimi, così come pure è stato descritto questo giovane, sono di buona famiglia, bravissimi a scuola, che si occupano di volontariato. Sicuramente sono giovani che, in qualche modo, ascoltano gli altri ma loro vengono poco ascoltati».
Chi si cela dietro queste scellerate “challenge” «conosce il mondo degli adolescenti e delle persone fragili: ci sono anche adulti che cadono in certe trappole. Conosce anche come in loro agisca il meccanismo della ricerca del nuovo, delle sensazioni, il mettersi in gioco e spingersi fino di superare un determinato livello. Per chi accetta queste sfide, significa un po’ aumentare la propria stima: riesco a farmi capire, costruisco la mia identità. Anziché farlo nella famiglia, con un rapporto positivo con i genitori. Il mondo virtuale mi riconosce, invece, una identità col superamento di livelli di difficoltà, anche di crescente pericolosità».

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