L'intervista

Alessandro Barbero: «Nel segno di Dante speriamo in una Vita Nova»

Maria Grazia Rongo

L'autore pubblica il libro per Laterza, dopo un anno straordinario tra tv e social

Un uomo. Lontano dall’alone di perfezione che forse egli stesso ha contribuito a costruire, e invece pregno di umanità, anche feroce, anche corrotta, come quella della Firenze a cavallo tra il XIII e il XIV secolo. È il Dante di Alessandro Barbero, che lo storico ha raccontato nel volume edito da Laterza (pp. 361, euro 20), aprendo di fatto le celebrazioni che vedranno nel 2021 i settecento anni dalla morte del grande poeta fiorentino.
Studioso di prestigio, Barbero, che insegna Storia Medievale nell’Università del Piemonte Orientale, nel 1996 vinse il Premio Strega con il romanzo Bella vita e guerre altrui di Mr. Pyle, gentiluomo (Mondadori). Qualche giorno fa ha sbaragliato gli ascolti televisivi con la puntata, andata in onda su Rai Storia, del suo Alighieri Durante, detto Dante. Vita e avventure di un uomo del Medioevo, scritto insieme a Davide Savelli, per la regia del pugliese Graziano Conversano, che racconta i primi trentasei anni della vita del sommo vate.
Nel Dante laterziano Barbero propone una lettura che scava nei meandri dell’uomo e del suo tempo, lasciando al lettore l’avventura della scoperta.

Professor Barbero, potremmo definire questo suo libro una «Vita nova» che ha per protagonista Dante, considerando che fino a ora abbiamo conosciuto molto del letterato, e invece lei ci svela tantissimo dell’uomo e del politico Dante?
«È la prima volta che mi viene proposto questo parallelo e devo dire che sì, in effetti è proprio così. Ci sono tantissime “vite” di Dante scritte da italianisti che ovviamente hanno posto l’accento sull’arte del poeta. Questo invece è il lavoro di uno storico che ricostruisce la vita di un grande uomo del Medioevo, molto ben documentato, sia dai contemporanei che dai tanti indizi che lui stesso semina nelle sue opere, e che ha attraversato da protagonista la storia sociale e politica del suo tempo».

Che uomo ha scoperto?
«Dante nel “Convivio” scrive di aver imparato dalla filosofia che bisognava odiare gli errori, ma non quelli che li commettevano. Dico questo perché Dante tanto simpatico non doveva essere! Era un personaggio scomodo, perfettamente consapevole del suo valore. Un uomo ricco di contraddizioni, che intraprende la carriera politica, per molti versi, non all’insegna della trasparenza, arrivando ai vertici del governo della sua città. Ho scoperto un uomo di partito, di regime, in un’epoca in cui fare politica significava anche piegarsi ad affari non del tutto leciti. Analizzando documenti dell’epoca ho scoperto ad esempio che viveva di rendita e non in cattive condizioni economiche, e ciò gli permise di dedicarsi alla poesia. Dante è in tutto un uomo del Medioevo».

Dante era convinto che per uscire dalla crisi del suo tempo fosse necessario un potere sovranazionale, quindi l’Impero. È un’idea che potremmo mutuare anche ai nostri tempi?
«Ai tempi di Dante questo era accettabile. E c’è da considerare anche il grande cambiamento di vedute da parte sua dal periodo in cui era uomo di potere nella Firenze guelfa a quando fu esiliato e costretto a girovagare chiedendo ospitalità alle corti dei signori dell’epoca, anche di quelli che un tempo erano i suoi avversari, i ghibellini. In comune abbiamo lo stesso problema, che l’emergenza pandemica ha fatto emergere maggiormente, di dover mettere d’accordo i singoli stati con l’Europa, e in Italia, le singole regioni con il governo centrale».

Oggi quale tessera politica avrebbe il poeta della «Commedia», se ne avesse una?
«Lui ha avuto la tessera politica guelfa, dei guelfi bianchi, ma durante l’esilio da Firenze, non disdegnò i ghibellini, anzi, ne cercò il sostegno. Oggi, se ne avesse una, l’avrebbe già stracciata».

Professore, lei è ormai una star della Tv e dei social. Come interpreta questo interesse per i suoi racconti storici?
«Penso che questa popolarità si inserisca in un contesto. E la prima opportunità che oggi gli autori, e quindi anche gli storici, hanno di farsi conoscere al grande pubblico sono i festival, o iniziative di spessore come le “Lezioni di Storia” della Laterza. C’è poi il grande lavoro che si sta facendo con la programmazione di Rai Storia. In Italia la percentuale dei lettori rimane ancora bassa, ma i partecipanti a questi eventi e coloro che seguono i programmi di Rai Storia sono davvero migliaia. E questa è una fortuna. In quanto alla mia popolarità, io amo la storia, e se questo serve a far conoscere di più e meglio la storia ai ragazzi, non può che farmi piacere».

In questo periodo i tanti appuntamenti culturali ai quali anche lei partecipa si sono trasferiti sulla rete. Il Ministero della Cultura ha annunciato l’avvio della cosiddetta «Netflix della cultura». Lei ritiene valide queste modalità di fruizione della cultura?
«No, o meglio, sono un ripiego valido, utile in questo momento per tenere in vita una tradizione di appuntamenti, ma non si può pensare di continuare così anche quando, speriamo il prima possibile, la situazione emergenziale sarà finita. Il momento più importante, quello più vero di un evento culturale, rimane sempre il contatto con il pubblico, e qui non c’è piattaforma che tenga. Può essere una modalità complementare, e non in tutte le occasioni, ma non sostitutiva».

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