L'INTERVISTA
La gioia del pianista Lotoro per la nomination negli Usa: gli occhi del mondo puntati su Barletta
Il progetto sulla musica concentrazionaria, fra ricerca e premi Emmy
«Dedico questo riconoscimento a tutti coloro che hanno composto la musica tra la sofferenza più incredibile. A chi crede in questo progetto di cultura e umanità e ai miei genitori». È musicale, come sempre, la voce del maestro barlettano Francesco Lotoro. Questo tenace e instancabile pianista e ricercatore inizia a sentire il profumo della «Cittadella della Musica concentrazionaria» che sorgerà a Barletta. A dare, uno slancio mondiale, il documentario The Lost Music girato a Barletta dalla CBS, andato in onda due volte negli Usa nell’ambito della celebre trasmissione 60 minutes dedicato alla sua ricerca che ha ricevuto la nomination agli Emmy Awards, gli Oscar americani della televisione, nella categoria «Outstanding Arts, Culture and Entertainment».
È felice, maestro Lotoro?
«Si è qualcosa di estremamente importante. Del resto il lavoro fatto dalla Cbs è stato enorme. Hanno seguito per anni la mia attività effettuando delle ricerche accurate. Hanno scandagliato tutti i miei concerti. Solo per personaggi come Clinton, Obama e pochi altri hanno la messa in onda di tredici minuti. E il fatto che lo abbiano fatto per noi è la dimostrazione più vera di quanto negli Usa ci sia attenzione per il progetto della musica concentrazionaria».
Anche Barletta e la Puglia protagonisti?
«Certo. Venendo a girare da noi hanno contestualizzato l’intera ricerca partendo dal presupposto che allo stato attuale dove è arrivata non ha più a che vedere solo con l'individuo, ma è diventato un fenomeno collettivo di acquisizione storica».
Un valore aggiunto per l’intero territorio?
«Tutti ne siano certi. Il nostro territorio si troverà ad essere destinatario dell’unica struttura mondiale relativa a questo tesoro. Non era l’intervista al pianista Lotoro, ma era l’approccio con un territorio che naturalmente doveva essere ben presentato ad una platea come quella americana e mondiale estremamente attenta. Il nostro territorio è alla stregua delle grandi capitali che sono già sedi museali di grandi livello».
Progetto altamente considerato?
«Assolutamente sì. Di questa favola ha scritto il New York Times, la stampa di Washington e di tutto il mondo direi. Purtroppo a causa del Covid è stata rinviata una manifestazione a Los Angeles molto importante. La nostra consociata a San Diego svolge un lavoro capillare e tante Fondazioni vogliono entrare nel progetto. Anche grazie a tutto questo negli Usa si è creato un movimento molto importante».
Un’aria particolare?
«Sì, diversa. Sono contento per coloro che hanno scritto la musica tra mille sofferenze e che ora hanno il giusto riscontro internazionale. Loro sono morti in situazioni atroci: impiccagioni, saltati sulle granate e tanto altro.Tutto questo ora è una pluralità. Non è una specializzazione su un autore, ma su qualcosa che vivrà nella Cittadella come il risultato di uno sforzo collettivo. Pensi che riviste specializzate di architettura hanno chiesto al nostro architetto Nicolangelo Dibitonto i disegni volendo capire come sia stato possibile far nascere dai ruderi di una ex distilleria un capolavoro che ha avuto dei finanziamenti pubblici perché li meritava e per questo devo ringraziare le Istituzioni coinvolte nel progetto».
Come procede la ricerca della musica?
«Non è finita. Per i miei calcoli mancano all’appello come minimo altri 10mila partiture metà delle quali so dove sono.
E dove?
«Bisogna andarle a prendere in città come Hong Kong, Canberra, Sydney, Mosca, San Pietroburgo, Bucarest e tante altre».
E con il Covid che succede?
«Purtroppo mi ha fatto saltare cinque mesi di viaggi. Con l’emergenza naturalmente tutto è cambiato. C’è un documento prezioso scritto a Birkenau, una pagina musicale preziosissima, che mi è stata promessa dall’unica sopravvissuta dell’orchestra femminile di Auschwitz che vive in un kibbutz in Israele. Ero pronto a partire a marzo, ma tutto si è bloccato. Il documento non può viaggiare e la signora ha 94 anni. Io prego ogni giorno che viva per altri cento anni».
C’è molto da fare?
«Assolutamente sì e anche in fretta. La manager della Fondazione, Donatella Altieri, ha organizzato un piano di Cento viaggi per terminare la ricerca. Io ne ho fatti 30 e tutti a mie spese. Spero di compiere gli altri 70 ma non solo a mie spese perché è un costo insostenibile. In ogni caso nessuno mi fermerà».
Ed è così se lo dice il maestro Lotoro.