La recensione
La pioggia di Allen bagna volentieri amori e disamori
Il regista torna sui suoi temi con un ottimo cast
In Italia tutti dicono I love you a Woody Allen. Il regista newyorchese è ostracizzato in patria dal movimento #MeToo per la nota vicenda delle molestie sessuali che a suo tempo avrebbe arrecato alla figlia adottiva Dylan Farrow. Uno scandalo più mediatico che giudiziario, eppure molti attori negli ultimi mesi hanno dichiarato di non voler lavorare con lui in futuro. Perciò Un giorno di pioggia a New York non è uscito sugli schermi americani, privo qual è di un distributore, sebbene ne abbia comprato i diritti una linea aerea i cui passeggeri possono vedere il film... al volo. Intanto Allen ha compiuto 84 anni lo scorso 1° dicembre e ha già girato in Spagna un’altra commedia romantica, che, se non sbagliamo i conti, è la cinquantunesima regia cinematografica a partire dal 1966.
Il pubblico nostrano si è re-innamorato di Woody perché con Un giorno di pioggia a New York sarebbe finalmente tornato allo stato di grazia dei film con vista sul ponte di Brooklyn e dintorni. Ricordate Io e Annie e Manhattan, vero? Il timido e geniale attore-regista si sedeva con Diane Keaton o Mariel Hemingway su certe panchine galeotte che hanno fatto sognare la nostra generazione. Ma davvero è così? Da almeno quindici anni Allen, come capita ai grandi autori, propone una serie di variazioni geografiche e sentimentali sullo stesso tema: l’amore che è croce e delizia dei giovani d’oggi, di ieri (e di domani), fra Londra e Barcellona, Parigi e Roma, Venezia e vattelappesca. Sono film che un tempo si sarebbero detti Camera-stylo, cioè «diari» personali e agili, con la cinepresa usata alla stregua di una penna stilografica. Tale leggiadria non elude affatto, anzi, sovente scandaglia i dilemmi esistenziali del Nostro nutriti da Dostoevskij (Delitto o castigo? Lascia o raddoppia?) o dall’agra ironia ebraico-americana dei Bellow, Malamud e Philip Roth con la relativa satiriasi dei personaggi.
Sospettiamo invece che Allen stavolta piaccia più del solito perché lo spettatore ne riconosce la matrice e il contesto, e quindi «si sente a casa» nella strade e negli interni della Grande Mela. Ad agire è un meccanismo di paradossale familiarità con una metropoli lontana, New York, cui non siamo estranei grazie al cinema, in primis al cinema di Woody Allen.
Un giorno di pioggia racconta la storia di due fidanzati del college, Gatsby (il sex symbol mingherlino Timothée Chalamet) e Ashleigh (la bionda Elle Fanning), che decidono di trascorrere un week end di passione a New York approfittando della trasferta di lei, aspirante giornalista per conto della rivista universitaria, inviata a intervistare un famoso regista. Il giovane Gatsby (citazione di Fitzgerald, forse) è l’erede di una famiglia molto ricca e, senza dirlo ai suoi che vivono in città, programma la trasferta affinché tutto sia perfetto, a cominciare dalla camera d’albergo con spettacolare vista su Central Park (la fotografia del film è opera del mago Vittorio Storaro).
Le cose andranno naturalmente in maniera assai diversa e i due piccioncini saranno coinvolti e sconvolti in un girotondo di incontri scontri sorprese rivelazioni bizzarrie tradimenti, che, in versione light, in parte evocano Fuori orario di Martin Scorsese (1985). Fino all’epilogo sorprendente che coincide con una confessione della mamma benpensante di Gatsby al suo ragazzo innamorato della musica, dell’arte e delle donne.
Altro non vorremmo aggiungere, tranne lodare il cast che dà corpo a un piccolo museo del fascino d’oggi: oltre alla coppia protagonista, ecco infatti Selena Gomez, Kelly Rohrbach, Jude Law, Suki Waterhouse, Liev Schreiber, Diego Luna. Già, ci si bagna volentieri in un giorno di pioggia a New York, di cui si può ben dire che è «la cosa più favolosa dopo la pillola del giorno dopo». Forse, persino prima.