lessico meridionale

Nel nome del padre e del(la) presidente

Michele Mirabella

La scelta di come chiamarsi e il destino: dalla canzone «Georgia on my mind» alle fanciulle di nome Crocifissa

La parola di oggi è «nome». Lo scelgono per te i genitori. Il cognome non lo puoi scegliere, lo erediti. Il cognome indica a quale famiglia appartiene una persona e, assieme al «nome proprio di persona», forma l’antroponimo. Se sarà obbligatorio dare al nuovo nato entrambi i cognomi dei genitori, nel giro di poche generazioni ci vorrà uno sterminato documento di identità che riporterà tutti i cognomi degli antenati. Una folla. Gli Spagnoli si accontentarono di inventare Hidalgo che letteralmente significa «Figlio di qualcuno» ovviamente un «qualcuno» importante. «Il» nuovo Presidente del Consiglio è una donna e ne siamo contenti al punto da esser rimasti stupiti del suo desiderio di usare l’articolo maschile e non quello femminile per essere citata, lodata, invocata, consultata, intervistata, ubbidita e, perché no? Amata. E, da me, rispettata in questa vicenda. Userò l’articolo «il».

Il Presidente del Consiglio ha un cognome molto comune e simpatico con quel plurale che sa di tradizione contadina e buona stagione e un bellissimo nome: Giorgia. Mi viene in mente un «fatto» risalente al tempo in cui vagivano i primi anni ‘60 e dico «fatto» perché avvenne a Bari dove questa parola si usa spesso per dire vita vissuta. Come i nomi, le parole, sono importanti. Dunque, il «fatto»: a quei tempi si ballava in casa, si ballava non nel senso minaccioso di una metafora, ma proprio nel senso di danzare. Il ballatoio non c’entrava. Vedete la a magia dei nomi? Giovinetti e giovinette non ancora pronti ai rave che mi fanno orrore (come, credo, al Presidente Meloni), si accontentavano della dimestichezza delicata del salotto buono. La musica era quella indimenticabile di quegli anni: i Platters, Neil Sedaka, Elvis Presley, Paul Anka. E Ray Charles! Questi aveva in repertorio un vecchio successo: Georgia on My Mind, canzone scritta nel 1930 da Gorrell (testo) e Carmichael (musica). Benché ambiguamente intitolata ammiccando alla figlia di Carmichael, Georgia, divenne la canzone ufficiale dello Stato della Georgia, negli Stati Uniti.

Il fatto è che era un dolce ballabile e io sbirciavo svenevolezze di giovani intraprendenti che sussurravano alla partner, indugiando sulla mattonella, il nome Georgia, ignorando il significato. Pensai che sarebbe stato come se, in America, un ragazzo sussurrasse «Piemonte» o «Basilicata» alla partner tersicorea. Nel 2000 Ray Charles ha invitato la cantante italiana Giorgia a duettare con lui, dopo aver scoperto che era stata chiamata così, in onore del brano. I nomi sono importanti e, segnatamente nel nostro Sud, segnalano atteggiamenti mentali e costumi, interpretando sentimenti collettivi nella personale evoluzione di storie di famiglia tramate di devozioni e tradizioni. Nomenomen, dicevano i Latini, non senza ironia, talora. Il facile gioco paronomastico indicava una quasi magica corrispondenza tra nome ed essere o tra quello e la sua vicenda umana. Memorabile l’invettiva implicita contenuta nel vocativo ciceroniano della orazione contro Verre. Verre significa, letteralmente, porco.

All’Università, la «mia» Università di Bari, dove infaticabili Maestri hanno tentato di insegnarmi queste cose, studiava con me una ragazza di provincia che si chiamava Crocifissa, anzi, per la precisione, si chiamava Maria Crocifissa. Per noi era Maria e basta: il secondo nome lo scoprii leggendo i risultati dell’esame di Latino scritto. Ovviamente l’aveva superato, e bene. Ignoro se il nomen abbia costituito intimidazione agli esaminatori. Non credo, conoscendoli. A pensarci, sono tanti i nomi che, dalle nostre parti, rinviavano a venerazioni particolari: Annunziate, Immacolate, Addolorate. Pietosi diminutivi attutivano l’imbarazzo della vita quotidiana. Come fai a tentare un approccio erotico, anche blando e ginnasiale, con una figliola che si chiama Immacolata? Anche se la titolare del nome, immacolata non intendeva restare a lungo. Come puoi invitare ad un veglione Addolorata? E, Crocifissa, appunto, che farà: ripudierà una secolare tradizione di venerazione o inclinerà all’agnosticismo? Meno male che c’era il tenue e casalingo e bellissimo Maria. L’uso di affidare alla tutela dei santi un bambino per mezzo del battesimale è stagionata e comune, ma ha provocato e provoca collisioni a volte stridenti, come dicevo citando la vita quotidiana.

Ma altre e più gravi manomissioni sono state azzardate ai danni dei simboli e dei nomi sacri. E non sono i nomi, in certi casi, simboli? Pensiamo all’uso della croce nella moda o nella politica, al suo sfruttamento cinico in pubblicità, alla sua elaborazione decorativa e pagana. Ho visto ombelichi e lobi d’orecchio trapassati dal «disonor del Golgota» e ritrovo la croce sventolare dovunque, perfino nei gonfaloni, appesa ad un rosario nelle mani di Salvini o esibita sulle magliette dei giocatori di pallone. I quali, poi, giocatori, non esitano a segnarsi e a baciare la terra del campo, prima di entrare in gioco. Non sarà troppo? Hanno arruolato Dio in varie guerre e crociate, ma Dio tifoso non s’era mai ancora visto. Non nominare il nome di Dio invano.

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