il personaggio
Dal Salento al Burkina Faso per regalare l’acqua ai villaggi: la sfida di Adriano Nuzzo
Il missionario laico da 10 anni scava pozzi contro siccità e povertà e dona allegria ai bimbi con i cori del Lecce
Il Burkina Faso settentrionale è tra le aree in cui vivere è più difficile, parte della fascia saheliana, povera di risorse idriche e soggetta a frequenti siccità. È infatti una delle regioni meno popolate. Per gran parte dell’anno il Nord è battuto dall’harmattan, il vento secco del Sahara. Il Paese più vicino è il Mali, da anni sotto assedio jihadista, come anche il paese di ex dominazione francese, che fino al 1984 si chiamava Haut-Volta in omaggio al ricco fiume che lo attraversa. Escluso, appunto, il Nord. Quell’anno prese il suo nome attuale, che significa “Terra degli uomini retti”, grazie alla visione del presidente Thomas Sankara, il cui sogno di unità e indipendenza si spense con la sua morte, nel 1987. Nel sottosuolo si celano oro, manganese, bauxite, diamanti, rame, ferro e uranio. Il presidente, Ibrahim Traoré, prova a piantumare il Sahel e a realizzare servizi per i burkinabé.
È in questo contesto che nel 2015, l’allora quarantenne Adriano Nuzzo fonda il progetto “We Africa to red heart”. Nato in Svizzera, ma salentino di Ruffano che vive nel comune di nascita della moglie, Salignano, frazione di Castrignano del Capo, Nuzzo racconta: «Nel 2011 ho avuto l’onore e il privilegio di conoscere il missionario Umberto Trapi. Lui aveva aperto orfanotrofi e una scuola materna già dagli anni '70 in Burkina, portava la parola di Dio nei villaggi più remoti. Nel 2014 ho deciso di aprire il mio progetto e di raggiungerlo. Appena un anno dopo Umberto è morto e ho deciso di continuare la sua missione, che oggi compie dieci anni».
Del progetto sono parte attiva la moglie Giulia e i loro tre figli Ania, Samuel e Lidia, ma data la pericolosità dell’area è solo Adriano ad andare sul territorio per sei mesi l’anno. Sono otto i mesi in cui è lontano, perché ne passa due in Svizzera a lavorare come idraulico in una delle sedi della Rolex: il guadagno gli permette di programmare la sua attività per il resto dell’anno, «insieme alle donazioni che arrivano alla mia associazione, con le quali sapremo quanti pozzi riusciremo a scavare: a gennaio faremo un piccolo record perché potremmo costruirne cinque». Nuzzo si definisce «un credente lontano dalle chiese e conquistato dalla parola di Gesù». Sono 41 i pozzi realizzati in dieci anni.
Adriano è tifosissimo del Lecce. Il dettaglio non è secondario perché ogni volta che i giallorossi raggiungono un bel traguardo, lui e i ragazzini della sua missione registrano il video con un coro molto popolare (“Te Lecce simu, simu!”) che diventa virale sui social. «Amo la mia terra. E il Lecce è diventato un simbolo anche per i bambini laggiù. Quando uno di loro, ormai cresciuto, mi riconosce per strada e mi dice: «Te quistu passa! (“Non c’è altra via”) allora è sicuro che sia cresciuto con noi». E venerdì 12 dicembre la società giallorossa l’ha invitato allo stadio in occasione di Lecce-Pisa. Nuzzo ha ricevuto dal presidente Saverio Sricchi Damiani una maglia celebrativa intestata al suo progetto, WeAfrica. In che modo è riuscito a guadagnare la fiducia dei burkinabé? «All’inizio nessuno mi conosceva. Quando arrivi come bianco, i bambini scappano. Devi essere bravo a creare una relazione. Durante i lavori per i pozzi resto due settimane nei villaggi e passo ogni giorno con loro. Con il tempo i bambini mi fanno festa quando arrivo, perché sanno che sono buono. E la barba mi aiuta: un bianco senza barba è visto come un turista, molto più a rischio».
Come funziona la costruzione dei pozzi? «Ogni pozzo costa circa 8mila euro. Una ditta locale si occupa dei lavori. Senza pozzo la gente fa chilometri per l’acqua, che usa solo per bere e cucinare. L’igiene diventa impossibile e arrivano le malattie. Avere l’acqua vicino casa cambia tutto. Su 41 pozzi realizzati finora non tutti hanno dato acqua al primo tentativo. Il numero 40, donato tra l’altro dal ristoratore Ciro Iovine, vincitore del programma Little Big Italy con il suo ” Song’ e Napule” di New York, è stato il più difficile: sei tentativi. Le profondità variano: spesso 70-90 metri, a volte 45, ma è raro. Il terreno è roccioso».
«Nei villaggi non esiste acqua né elettricità. Si può costruire un “castello” con serbatoio e pompa solare, ma preferiamo i pozzi manuali: richiedono manutenzione ogni cinque anni e garantiscono acqua sicura per tutto l’anno».
A gennaio la Puglia entrerà in emergenza idrica. Cosa si può dire a chi si è dimenticato da dove viene? «Ovviamente mi dispiace per questa situazione. Spero aiuti a riflettere. Io non so descrivere gli occhi dei ragazzi burkinabè quando dico usiamo l’acqua potabile per lo sciacquone del bagno. Loro hanno accesso a internet e vedono come viviamo noi: per questo molti non vogliono restare lì, dove si può costruire, da noi bisogna decrescere».
Per informazioni dettagliate sul progetto, il sito è weafrica.org.