L'intervista
«La strategia del clan: consenso sociale e intrecci con politica e imprese», parla Carla Durante, capo sezione Dia Lecce
«L’attività repressiva è diventata più complessa perché l‘allarme sociale appare flebile»
LECCE - Depotenziare la mafia si può. Non già, anzi non solo attraverso manette e retate di polizia giudiziaria ma anche minandone l’immagine attraverso l’aggressione ai suoi patrimoni.
La confisca dei beni frutto di attività illecite resta strumento potentissimo, come conferma l’ultima semestrale della Direzione Investigativa Antimafia, per minare sicurezza e volto del crimine. Il nastro bianco e rosso all’ingresso di una villa, per dirla in soldoni, è un sonoro manrovescio alla sicumera del malavitoso poiché equivale a privarlo di un simbolo fisico del suo potere. E della sua credibilità nel tessuto sociale. Sempre più permeato.
Infatti “l’attività repressiva è diventata più complessa - conferma Carla Durante, capo sezione della Dia di Lecce - perché l’allarme sociale appare flebile. Molto spesso la gente non percepisce la gravità dell’azione criminale, il malvivente non incute paura ma si pone come benefattore, prossimo, disponibile a risolvere problemi e difficoltà anche di natura economica per cui il cittadino comune non si sente danneggiato in prima persona. Per questo non si espone, e di conseguenza non contrasta”.
Il consenso sociale dunque entra di diritto nell’arsenale della mafia come arma potentissima, di difficile disinnesco. E fa il paio con il pactum sceleris della triangolazione imprenditore-criminale-politico: il primo vuole aggiudicarsi gli appalti, il secondo vuole il controllo del territorio tramite il primo che dà garanzia, il terzo ha bisogno degli altri due per conquistare consensi prima e fidelizzare una certa parte d’elettorato.
«Gli scioglimenti per mafia di alcuni Comuni - sottolinea Durante - sono la dimostrazione esplicita dell’ingerenza della criminalità ormai affaristica, nel tessuto politico e amministrativo, nel Salento come sul panorama nazionale. E laddove non vi sia la figura del mafioso con pedigree, c’è comunque un atteggiamento volto a pressare, orientare le scelte di un politico o di un imprenditore, quindi un’azione criminale posta in essere attraverso rapporti corruttivi politico-imprenditoriali».
La mafia salentina è matura, proprio come hanno sostenuto il procuratore generale Antonio Maruccia e il procuratore aggiunto Guglielmo Cataldi.
«Tutte le grosse indagini del periodo preso in esame e non solo - spiega la capo sezione - al di là degli scioglimenti dei consigli comunali, sottendono ad una tendenza della criminalità verso il settore affaristico. Nella peggiore delle ipotesi si parla di emissione di fatture per operazioni inesistenti, presenza di società cartiere, poi a scalare parliamo di voto di scambio politico-mafioso ai fini di una utilità economica, pressioni e minacce per affidamenti di appalti. E badate bene, non basta che i soggetti su cui si indaga siano politici o imprenditori per escludere che siano criminali».