L'emergenza
Lecce, allarme economia: a rischio 14mila posti di lavoro
Il presidente della Camera di Commercio: «Potrebbero scomparire 5mila imprese»
Alla fine del 2021, la provincia di Lecce conterà 5mila imprese in meno, con una perdita di quasi 14mila posti di lavoro, a causa della crisi innescata dal Covid-19. La stima, da lasciare senza fiato, è contenuta in uno studio condotto da Unioncamere Puglia.
«Purtroppo – commenta Alfredo Prete, presidente della Camera di Commercio – le soluzioni adottate dal Governo non sono utili per la ripresa economica, in quanto il nostro tessuto è composto da piccole e micro imprese, già reduci da una recessione economica dalla quale stavamo cercando di risollevarci. Le nostre aziende sono, per la maggior parte, ditte individuali, aziende già sottocapitalizzate o sovraindebitate. Andare a chiedere loro un ulteriore indebitamento sarebbe la fine. Capiamo che il bilancio dello Stato non è roseo e che presenta un debito pubblico altissimo, ma o si dà liquidità alle imprese con una parte del contributo a fondo perduto oppure temo che non andremo da nessuna parte».
Le soluzioni, secondo Prete, ci sarebbero.
«In primis – specifica il presidente – penso alla diminuzione della pressione fiscale, che è di oltre il 60 per cento. In secondo luogo, penso ad un provvedimento che potrebbe far storcere il naso a molti, ma che in un momento come questo andrebbe per lo meno preso in considerazione. Mi riferisco ad un condono tombale, che consentirebbe di far ripartire le imprese senza costi per lo Stato. Bisognerebbe chiudere a saldo e stralcio, azzerando tutti i debiti accumulati. Ovviamente, questo non va fatto indistintamente, ma va calato in un contesto di micro e piccole imprese. Ciò permetterebbe alle aziende di azzerare il debito con il fisco, l’Inps, i comuni. Sono questi, generalmente, i motivi per i quali le micro imprese si indebitano».
Intanto, Federmoda chiede che il periodo dei saldi venga spostato almeno ad agosto.
«Per il settore abbigliamento – dice Daniele Bianchi, presidente di Federmoda Lecce – all’orizzonte si profila un altro problema. La fase in cui potevamo vendere a prezzo pieno sta per finire. Molto probabilmente si riaprirà in prossimità dei saldi, il che vuol dire andare a vendere con margini pari allo zero. Ci troveremmo a lavorare solo per pagare le scadenze, come tasse e utenze. Posticipando l’inizio dei saldi potremmo sperare di salvare quei negozianti che non hanno le spalle sufficientemente larghe per poter assorbire questo urto devastante, altrimenti siamo destinati a morire. È chiaro che non è facile, ma, su questo fronte, dobbiamo chiedere la comprensione dei clienti».
La serrata causata dal Covid-19 ha messo in ginocchio l’intero settore.
«I danni – continua Bianchi – sono enormi, perché già provenivamo da un periodo negativo e difficile. Il web ci attacca da ogni lato con promozioni tutto l’anno che non riusciamo a bloccare. Il bilancio è drammatico e la prospettiva è ancora più tragica. C’è bisogno di interventi mirati, come l’accesso rapido e veloce a finanziamenti a fondo perduto o per lo meno a tassi sostenibili. Chiediamo anche di velocizzare le pratiche relative alla cassa integrazione. Pertanto, come Federmoda chiediamo lo spostamento della data di inizio saldo. Contestualmente, a livello nazionale, come Confcommercio chiediamo che vengano date delle indicazioni e delle regole precise, tanto per noi quanto per i nostri clienti».
Di situazione critica parla anche Cristian Preite, presidente dell’Associazione Commercianti, Imprenditori ed Artigiani di Casarano che conta oltre duecento associati.
«Nonostante la liberalizzazione dell’asporto – dice Preite – gran parte delle strutture non ha riaperto, in quanto le spese per la consegna a domicilio comporta un aumento delle spese. A conti fatti, dei nostri soci ha riaperto solo un 20-25 per cento. Al di là di ciò, la data indicata per la riapertura dei negozi, il 18 maggio, è troppo lontana. Chiediamo che venga anticipata alla settimana prossima, altrimenti la crisi sarà ancora più nera. Si parla di un 40 per cento di attività che non riapriranno più. Bisogna dare un’accelerata, anche perché la prudenza, che pure ci vuole, francamente ci sembra troppa in un contesto come il nostro, nel quale la diffusione del contagio è stata limitata».
Il quadro è fosco.
«Ogni giorno che passa – incalza Preite – saltano attività: si fermano gli incassi, ma le spese continuano a galoppare. Anche la data del primo giugno per la ristorazione sembra troppo lontana e, considerando che non sappiamo ancora a quali condizioni dovremo riaprire, c’è la seria possibilità che molti ristoranti non riapriranno affatto. Temo che il 50 per cento deciderà di restare chiuso, in quanto, con la riduzione dei posti, aprire potrebbe essere un azzardo. In giro c’è uno sconforto generale. Il primo mese di chiusura è stato accettato da tutti, ora però bisogna dare una svolta. Anche perché di aiuti non ne arrivano e si prospetta un’impennata di disoccupazione. Vogliamo rispettare le norme, ma se non ci vengono date delle indicazioni precise e se non ci viene data una speranza di ripartire, sarà un’ecatombe».