L'intervista

Mafia in Salento, il monito di «Ultimo»: «Serve l’impegno di tutti, in prima persona»

Fabiana Pacella

Fioriscono i girasoli antimafia nel ricordo del generale Dalla Chiesa. L'incontro a Galatina

LECCE - Un bambino batte la pelle di un tamburello a Galatina, una clown appiccica un girasole a Grottaglie, e si potrebbe andare avanti a ufa, su e giù per la Puglia e l’Italia intera. Il ricordo del generale Carlo Alberto dalla Chiesa a 37 anni dal suo assassinio per mano della mafia e del silenzio, un «certo» silenzio, è diventato onda anomala e canto libero in tutta Italia, con un maestro concertatore che nella memoria collettiva vive come capitano Ultimo.

All’anagrafe colonnello Sergio de Caprio. Stanava i criminali, oggi stana e mette in rete persone belle. Ultimi, non di nome. Ultimi. Ma pasionari, combattenti di un esercito in marcia per gli ideali più alti del vivere civile. Dalla Puglia a Roma, dove ha sede la casa famiglia realizzata da «Ultimo», che ha ospitato una celebrazione partecipata e composta a viva memoria di quel 3 settembre dell’82, fino a ogni angolo più lontano del Belpaese, il valore della rete, quella vera «per guardarci ancora una volta e ritrovarci fratelli accanto al generale Dalla Chiesa , al comandante di tante battaglie fatte per la gente», le parole di De Caprio.

Dai social ai contatti diretti, a migliaia hanno risposto alla chiamata di Ultimo, deponendo girasoli là dove campeggia il nome di Dalla Chiesa. Il ricordo ci rende vivi, dunque?

«Dobbiamo riscoprirci comunità, rimanere fratelli e popolo, non sono parole – vigoroso, accento livornese passionalità da carabiniere vecchia scuola, trasmette il fuoco sacro della lotta il comandante -. Come si pratica? Occorre fare, condividere e donarsi. Il generale Dalla Chiesa era e resta un esempio in tal senso. Un uomo tra gli uomini, un servitore, un giusto».

Dribbla le polemiche, le intercetta anzitempo De Caprio. Fanno rumore, del resto. E lui è uno pratico. Ed empatico.

Si ha la sensazione che vi siano morti di serie A e di serie B, in termini di memoria e celebrazioni, in questo Paese. Perché tutti i caduti per mano della mafia, e sono tanti, non giacciono sulla stessa linea Maginot del ricordo pubblico?

«Ci sono morti e ci sono battaglie. L’importante è che chi resta faccia vivere le battaglie di quelli che sono caduti. Altrimenti è questione di lobby, di potere, di immagine. Non dobbiamo celebrare, ma portare avanti le battaglie di queste persone, onorandoli, dando seguito alla loro lotta nel nome della legalità, della giustizia. Dobbiamo scendere nelle piazze, per strada, riscoprirci popolo, comunità, soldati».

Colonnello, quel bimbo di Galatina col tamburello, e come lui un mucchio di ragazzi a Taranto, Mottola, Galatina, Lecce, San Vito dei Normanni, Salve, Taviano, Cutrofiano e oltre, la coltivano la sfida della legalità. Ma non indossano la divisa, e ogni tanto avvertono la stanchezza…

«Ci sono tanti soldati. Tutto loro sono piccoli soldati dell’immenso esercito che è il popolo. Occorre donarsi, lo ripeto, combattere con quello che abbiamo. Siamo tutti stanchi, combatteremo stanchi così siamo forti e facciamo stancare gli altri».

La passione passa, il fuoco della legalità rischia di spegnersi sotto le benne del quotidiano e dell’avanzare delle mafie, italiane e non. I dati parlano chiaro. Quel magmatico mondo di mezzo, con capacità di mimesi mai vista prima d’ora è il cancro più subdolo che condanna a morte la legalità. In Italia e non solo. Può bastare la strada maestra tracciata da Dalla Chiesa e da altri come lui?

«I ragazzi devono scegliere, confrontarsi, discutere, non ci si affida agli altri, si fa. Lo stesso vale per gli adulti. Dobbiamo riprenderci ciò che è nostro, la comunità. E la comunità non è su internet, né all’interno dei palazzi, è per strada. La politica, l’arte, la vita da carabiniere, si fa per strada del resto. La storia del nostro Paese, la sua civiltà sono nate per strada…».

Non tutti sono capaci di portare avanti scelte estreme come quelle di Ultimo e dei suoi uomini. A fare gli «eroi» però si rischia di rimanere soli.

«Potere? Accumulazione? È sempre questione di scelte. A un certo punto si deve scegliere se combattere per il potere o per noi, donandoci. Chi si dona spogliandosi di tutto ha compreso il vero senso della vita. Per questo dico, fieri di servire. Sempre».

Ecco dunque svelato il senso di quel ponte che parte dai social e getta mattoni nelle strade, dalla Puglia alla Val d’Aosta passando per le isole?

«La prassi domina sulla teoria, non serve l’illusionismo, tocca a noi. Quando qualcosa non va, quando gira storta, dobbiamo chiedere spiegazione a chi ci deve dare sicurezza, perché questo non accade. La comunità, deve chiedere spiegazioni a coloro i quali si sono deputati a garantire legalità e sicurezza. Se una piazza di spaccio è tale da anni, e nulla cambia ad esempio, qualcuno ha fallito e quel qualcuno deve andare via, perché non è capace. Non merita la fiducia della gente, né il ruolo cui è preposto».

Ma la mafia c’è, Ultimo. In Puglia, nel resto d’Italia, e oltre. È uno Stato altro, ha cambiato pelle, si è adeguata ai tempi, ai nuovi canali di approvvigionamento e alle nuove forme di comunicazione.

«Ma non vincono sempre, fìdati».

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