BARI - Da Bari a Milano; da Roma a Piacenza; da Bergamo a Torino. L’ex consigliere di Stato Francesco Bellomo è uscito immacolato dal giro d’Italia tra uffici giudiziari. L’ultima pendenza, quella relativa a una presunta tentata violenza privata ai danni di una ricercatrice della scuola Diritto e Scienza, fucina di aspiranti magistrati, si è chiusa con un’archiviazione disposta dal gip del Tribunale di Torino. Accolta una motivata richiesta avanzata dalla Procura piemontese che, come anticipato ieri da La Stampa, anziché limitarsi a constatare l’improcedibilità dell’azione penale in ragione dell’assenza di querela della (presunta) persona offesa (una delle modifiche previste dalla tanto discussa riforma Cartabia, ma questa è un’altra storia), è entrata nel merito delle ipotesi di reato ritenendole, appunto, inconsistenti.
Ancora una volta, dunque, come già accaduto da quando lo scandalo, da mediatico, è entrato di prepotenza nei Palazzi di Giustizia, le accuse a suo carico praticamente si sono smontate senza neanche mai entrare in aula. Insomma, al clamore mediatico provocato dal «dress code» imposto dal magistrato barese alle sue ex borsiste, al netto delle valutazioni sulla opportunità di certi comportamenti sul piano morale, non è corrisposta alcuna violazione del codice penale. Lo dicono più magistrati.
Quanto alla vicenda torinese, tutto ruotava intorno ad alcuni messaggi che Bellomo aveva inviato a una ricercatrice della scuola in cui si prefigurava -questa l’originaria impostazione accusatoria - una causa civile se la ricercatrice non avesse ripreso la collaborazione con la scuola che ha formato decine di magistrati. Il fascicolo sulla paventata «azione di adempimento» era arrivato a Torino proveniente da Bergamo per competenza territoriale, ultima tappa del giro d’Italia tra sedi giudiziarie, ma (anche) per la Procura torinese quei messaggi, con ogni probabilità inopportuni, non posso avere una valenza intimidatoria.
E pensare che Bellomo, assistito a Torino dall’avvocato Claudio Strata e a Bari dagli avvocati Beniamino Migliucci e Gianluca D'Oria, finì ai domiciliari per ipotesi, stalking e violenza privata, entrambe ritenute insussistenti ma che comunque gli sono costate la destituzione dalla magistratura. Un altro tassello che si aggiunge alla lunga lista di sentenze di «non luogo a procedere» o decreti di archiviazione pronunciati dalla magistratura, dunque prima di un dibattimento che non c’è mai stato. Nel mirino, all’inizio, c’era la «richiesta» di Bellomo rivolta a borsiste e corsiste di indossare minigonne e tacchi a spillo. C’erano anche prove di coraggio, persino test sui fidanzati delle borsiste e monitoraggio dei profili social. Con tanto di contratto firmato da chi aspirava a diventare magistrato. Per Bellomo, prima l’archiviazione a Milano nel 2018, poi il proscioglimento a Piacenza, quindi accuse che cadono anche a Bari, Bergamo e ora anche Torino. Oltre alle vicende che riguardavano il suo rapporto con le donne, inoltre, Bellomo è stato anche accusato di calunnia e minaccia nei confronti dell’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte, nella sua veste di presidente della commissione disciplinare chiamata a pronunciarsi sul magistrato barese nel 2017. Neanche a dirlo, anche quel procedimento penale si è chiuso, questa volta a Roma, con una archiviazione.
E allora, cosa resta dell’intera vicenda? Al momento solo la «condanna» disciplinare costata la destituzione dalla magistratura, anche se ormai da tempo Bellomo ha ripreso a insegnare nella sua scuola per formare altri aspiranti magistrati in vista del concorso. Ma sulla rimozione pende un ricorso di Bellomo: i suoi ex colleghi del Consiglio di Stato dovranno decidere se il magistrato barese ha il diritto oppure no di rientrare nei ranghi.
Intanto, sul suo profilo facebook (con un cognome diverso), l’ex giudice commenta l’archiviazione torinese: «La prima volta che andai sui giornali e in televisione (TG3) avevo 14 anni e fu per gli scacchi, poi per qualche indagine criminale. Mai avrei pensato che ci sarei finito molto più spesso per un contratto e che da lì - dopo aver segnato una performance probabilmente imbattibile come pubblico accusatore - mi sarei ritrovato dall’altro lato. Dove però - quando ho sentito qualche assurdità - ho fatto la stessa identica cosa con lo stesso identico esito».