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Salvatore Rossi: «L’Italia e il Mezzogiorno possono tornare grandi»

Salvatore Rossi: «L’Italia e il Mezzogiorno possono tornare grandi»

 
Leonardo Petrocelli

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Leonardo Petrocelli

Salvatore Rossi: «L’Italia e il Mezzogiorno possono tornare grandi»

Già direttore di Bankitalia e Presidente gruppo Telecom: «solo noi sappiamo coniugare tecnologia e buon gusto»

Domenica 04 Giugno 2023, 09:00

Tema sfuggente, quello dell’identità di un popolo. Da qualunque parte la si prenda, arriverà sempre qualcuno a ricordare che, alla fine, tutto è relativo, transitorio, «meticcio». Anche Dante e Manzoni. Decostruire ogni cosa è diventato uno sport nazionale che diverte molto gli intellettuali. Con i numeri, però, funziona meno. Forse anche per questo Salvatore Rossi - barese classe 1949, di formazione matematica, già Direttore generale di Bankitalia e oggi presidente del gruppo Telecom - prende la via dell’economia, che poi è la sua, per scandagliare l’anima del Belpaese. O, meglio, per interrogarne il genius loci tra un occhio al passato e uno al futuro. Nasce così Breve racconto dell’Italia nel mondo attraverso i fatti dell’economia (il Mulino, pp. 160, euro 15), agile saggio dal titolo wertmulleriano, che conduce il lettore per mano attraverso strutture macroeconomiche, bilance dei pagamenti, catene del valore, ma sempre in modo accessibile. E con un nume tutelare d’eccezione, Leonardo Da Vinci, a ricordarci che il Rinascimento-«nascimento» non è solo una roba del passato. Ma, innanzitutto, una possibilità per il futuro.

Presidente Rossi, «congeliamo» per un attimo Leonardo e partiamo dall’attualità. Nel suo ultimo discorso il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, ha tracciato il ritratto di un Paese che è riuscito a reagire alle tante crisi che ha dovuto attraversare. Certo, ci sono dei problemi, ma il quadro non è così malvagio. Concorda?

«Naturalmente sì, e non potrebbe essere diversamente avendo lavorato quarant’anni in Banca d’Italia. Mi ha colpito favorevolmente questo ritratto controcorrente di un’economia italiana che tiene nonostante i duri colpi subiti, dalla pandemia alla crisi energetica».

Anche nel suo libro non si cede al pessimismo...

«Facciamo parlare i numeri certificati: l’Italia è 25esima al mondo per popolazione ma è decima per capacità produttiva. Ancora, vende più di quanto compri. La bilancia dei pagamenti è in attivo. In fin dei conti, conserva un suo posto di rilievo nel mondo».

Molto confortante, ma la percezione non è questa. Lei tiene molto al concetto del «filo conduttore» tra epoche diverse. Bene, per il cittadino-elettore-consumatore italico il passato è sempre mitico, il presente è frustrante, il futuro fa paura.

«Ma non è proprio così. Il passato ha ospitato alcuni periodi gloriosi come il Rinascimento, poi però ci sono state fasi drammatiche come il Seicento, il Settecento e la prima metà dell’Ottocento. Ben 250 anni di povertà e sottosviluppo, tutt’altro che mitici».

Poi cos’è successo?

«Ci siamo ripresi con una rivoluzione industriale tardiva e dopo con il miracolo economico post bellico che hanno riportato l’Italia agli onori del mondo».

Andiamo ancora avanti.

«Dopo abbiamo smarrito, per tante ragioni, la capacità di svilupparci economicamente. Ma è anche vero che ci sono imprese prevalentemente di media grandezza che hanno continuato a portare l’Italia su livelli decenti nella competizione globale. Ci vuole lucidità di analisi, non è tutto bianco o nero».

Domanda secca: il peggior limite e la migliore virtù dell’Italia economica in questa fase?

«Comincio dai limiti, due fra i tanti. Il primo è la tendenza demografica».

Il governo sta provando a implementare politiche per la natalità...

«Ma quelle possono dare risultati solo nel lunghissimo periodo. Nel breve, medio e anche lungo, come ha ricordato Visco, serve governare intelligentemente i flussi migratori e usarli a servizio dello sviluppo».

Il secondo limite?

«È normativo. Il nostro sistema giuridico è ostile al libero mercato. Ci si scaglia sempre contro la burocrazia ma il problema sono le norme, spesso oppressive».

Questi sono discorsi che, giustamente, si sentono da anni. Siamo stati governati da progressisti e sovranisti, da politici e da tecnici, da perfetti sconosciuti e dall’italiano più famoso del mondo. Ma non cambia mai nulla. Non sarà che l’Italia è irriformabile?

«Il governo è un elemento visibile, ma spesso sopravvalutato. In realtà una nazione è innanzitutto ciò che sa fare la società che la abilita. E se questa non esprime dal suo profondo essere la capacità di progredire non c’è esecutivo che tenga».

A proposito di «profondo essere», qual è la nostra miglior virtù?

«Una su tutte: siamo l’unico Paese al mondo capace di combinare la sapienza tecnologica con il buon gusto e il saper vivere. Tutto questo fa dell’Italia, agli occhi degli stranieri, una specie di paradiso terrestre. Certo ci sono molti stereotipi in merito, ma è la combinazione tipica del Rinascimento italiano. E potrebbe anche essere ciò di cui aver bisogno nel mondo futuro».

Ecco, il futuro. La globalizzazione non ci ha premiati.

«Quella scatenata dalle innovazioni tecnologiche di 20-30 anni fa, obiettivamente, ci ha messo in difficoltà. Le nostre imprese non avevano la dimensione sufficiente per conquistare mercati lontani, costruirci capannoni, usare la forza lavoro di altri Paesi».

Sta cambiando qualcosa?

«Non tanto in Italia, quanto nel contesto. Sia chiaro, la globalizzazione non sta finendo e per fortuna aggiungerei. Il commercio internazionale è alla base della prosperità di tutti».

E tuttavia?

«E tuttavia le recenti crisi globali e le tensioni geopolitiche spingono verso una globalizzazione più “regionalizzata”, per così dire, in cui si tende a commerciare con Paesi più omogenei dal punto di vista delle scelte fondamentali. Per noi potrebbe essere un vantaggio: una cosa è andare in Vietnam, un’altra andare in Svezia. È molto più alla portata».

Quanto detto per l’Italia vale anche per il Sud?

«Il Mezzogiorno presenta le stesse problematiche del Paese tutto, solo peggiorate per ragioni storiche anche molto remote. Non c’è una specificità che lo rende, nella sua natura, diverso. E quindi anche le soluzioni sono le stesse».

Una buona parte di esse passa dal Pnrr?

«Il Pnrr è una grande occasione, direi unica. Si può discutere se migliorare questo o quello ma è fondamentale trarne profitto fino in fondo. Sono risorse eccezionali, normalmente l’Italia non viene trattata così a Bruxelles. Ma quelle colonne di camion che trasportavano le bare dei morti per Covid hanno scosso le coscienze perfino di certi falchi del Nord Europa. Sarebbe assurdo sprecare questa opportunità».

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