L'intervista

De Palma: «Ilva, basta spot: manca il piano industriale»

Michele De Feudis

«Il rischio è che ci sia una deriva individualista e corporativa, il contrario della contrattazione collettiva che si fonda sul migliorare diritti e salario per tutti»

Segretario Michele De Palma, leader nazionale della Fiom, lei ha concluso il suo intervento al congresso rinnovando l’impegno per l’unità confederale e sindacale. Che rischio corre il mondo del lavoro al tempo del governo della destra?

«Il rischio è che ci sia una deriva individualista e corporativa, il contrario della contrattazione collettiva che si fonda sul migliorare diritti e salario per tutti».

L’intervento della Meloni: dialogo e ascolto in una giornata storica. Tiriamo le somme?

«La premier ha confermato la sua cultura, di destra. Doveva invece partire dal primo articolo della Costituzione, mentre ha evocato il Risorgimento. In questo c’è la differenza di una visione tra noi, sindacato costituzionale, e chi ha una visione nazionalista della politica». 

Sulla riforma del fisco ci sono distanze abissali tra la vostra piattaforma e la bozza del governo.

«Siamo per un fisco che faccia pagare chi non paga, perseguendo gli evasori. Poi il fisco deve essere progressivo, come previsto dalla Carta, mentre Meloni vuole ridurre gli scaglioni o introdurre l’incostituzionale flat-tax. Per noi i ricchi devono essere tassati di più, per avere risorse per scuola e sanità pubblica, per lo stato sociale».

L’unico applauso per la Meloni c'è stato quando, rivendicando l’eredità partitica e legalitaria postmissina, ha preso le distanze dall’estremismo di destra che ha assaltato la sede Cgil a Roma.

«La presa di distanze è un fatto positivo. Poi ci vorrebbe una diretta conseguenza: lo scioglimento di quelle organizzazioni, azione che poteva essere fatta già dal governo Draghi».

L’impegno per abbattere il cuneo fiscale vi soddisfa?

«Non basta. Innanzitutto per tutelare il salario, dobbiamo aumentarlo con la contrattazione con le imprese e con la redistribuzione  della ricchezza. Siamo, sul piano concreto, per defiscalizzare gli aumenti del contratto nazionale».

Politiche industriali. A che punto siamo?

«In Italia non ci sono. Il trend di questi anni è stata di lasciar fare al mercato e ai datori di lavoro. E in una transizione industriale delicata, corriamo il rischio della dismissione industriale di eccellenze produttive, in particolare nel Sud, dove le aziende legate a auto e acciaio hanno un peso occupazionale e strategico essenziale».

Ex Ilva e la questione acciaio. Cosa non sta funzionando in questa vertenza? 

«Il nodo è l’assenza di un interlocutore, mentre manca il piano industriale. I manager chiedono di aumentare la casa integrazione, diminuendo la produzione di acciaio. Tutti i proclami sull’Afo 5 o sul forno elettrico sono dichiarazioni spot per la stampa, ma senza alcuna concretezza».

Partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende come da art. 46: il segretario generale Maurizio Landini spinge su questo tema. Con che modello? 

«Abbiamo due esperienze importanti: le “Intersid”, ex partecipate pubbliche, con gli osservatori strategici, e il format delle aziende tedesche in Emilia Romagna. Bisogna dare seguito  a questa iniziativa, con un diritto di proposta e verifica  per i lavoratori, rispetto ai consigli di amministrazione, affinché svolgano un ruolo prima delle decisioni salienti». 

Che libro avrebbe voluto dare alla Meloni? 

«A Calenda il contratto nazionale perché ha sbagliato anche i minimi contrattuali. Alla premier suggerirei di leggere "Il sentiero dei nidi di ragno" di Calvino...».

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