Il saggio

Il governo della Meloni e la destra degli «alieni»

Michele De Feudis

Il pamphlet di Michele Cozzi ripercorre con una ricostruzione mirata, le tappe del nascente primo governo del dopoguerra di «destra-centro», con premier una leader, Giorgia Meloni, cresciuta nella cantera postfascista, ora punto di riferimento dei conservatori europei

«Il 25 settembre in Italia “finisce” il Novecento»: questo è l’incipit del saggio di Michele Cozzi, editorialista del Corriere del Mezzogiorno, per il saggio Il popolo di Giorgia (Cacucci editore). Il pamphlet ripercorre con una ricostruzione mirata, le tappe del nascente primo governo del dopoguerra di «destra-centro», con premier una leader, Giorgia Meloni, cresciuta nella cantera postfascista, ora punto di riferimento dei conservatori europei.

L’orientamento dell’autore emerge nella scelta delle formule lessicali adottate per descrivere il fenomeno meloniano: i neodestri sono «alieni, riemersi dopo una lunga stagione da esuli in patria». Questa tendenza corrisponde a quella della stampa mainstream che aveva sottovalutato la crescita nell’opinione pubblica del messaggio dei «patrioti» e così, come in un dejavù, ripropone cliché risalenti alla prima destra di governo, quella del 1994, sdoganata da Silvio Berlusconi a Casalecchio di Reno.

Efficace è la decrittazione del richiamo popolare che Cozzi etichetta con la formula «Effetto G», una proposta rassicurante al tempo dello «smarrimento del senso di comunità, della tradizione, dei valori». Il messaggio della Meloni, rea secondo l’autore di «zelighismo» per aver usato toni identitari davanti alla platea sovranista di Vox in Spagna, è insieme «reazionario e rivoluzionario, strutturato e destrutturato, da salotti boni e da Masaniello quando infiamma le piazze». Di fatto la destra popolare di Fdi è l’evoluzione di un interclassismo antico, presente anche nel Msi dei territori, che a Bari eleggeva Araldo di Crollalanza, accanto al sindacalista Cisnal Michele Cassano e all’avvocato dell’aristocrazia nera Achille Tarsia Incuria.

Nel saggio si coglie la passione meloniana per il «comunistarista» Sam Gamgee, scudiero di Frodo nella Compagnia dell’Anello: è l’etica hobbit, del sacrificio per la missione, ma anche un elogio della genuinità dell’impegno politico. Nel libro è citato Marco Tarchi, espulso dal Msi nel 1980: è il politologo che ha approfondito - da accademico dell’Università di Firenze - l’evoluzione del «polo escluso» (definizione di Piero Ignazi), ora volano del centrodestra. L’immaginario in cui cresce la generazione Tolkien è invece quello dei “Fascisti immaginari” (Vallecchi) di Luciano Lanna, ma rielaborato ogni fine estate nella festa di Atreju, grazie a incontri con artisti (su tutti il concerto di Samatha Fox, cult anni ottanta) o con leader illuminati come Fausto Bertinotti. Sullo sfondo c’è la sperimentazione degli (ormai ex) ragazzi di Colle Oppio, capeggiati da Fabio Rampelli (ora vicepresidente della Camera), che attualizzavano radici antiche senza cedere a richiami lugubri, realizzando riviste irriverenti come Morbillo e aprendo già negli anni ottanta alle liste di centrodestra alla Sapienza insieme a Cl.

Per Cozzi resta irrisolta la questione dell’antifascismo di Fdi, in anni in cui il fascismo è morto e sepolto: su questo tema rileva con acume che la Meloni, mai nostalgica e commossa nel ricordare l’infamia delle leggi razziali, non fa concessioni alla retorica dell’«antifascismo rosso militante», riconoscendosi invece nelle speculazioni antitotalitarie del filosofo francese Alain de Benoist.

Illuminante è lo iato ricostruito nel capitolo sulla stampa estera e la vittoria della destra nel settembre 2022: per gli anglosassoni l’estrema destra è sic et simpliciter «fascista», da qui l’allarme per un racconto che risente di categorie non aggiornate (i postfascisti sono parte della democrazia italiana dal 1946), mentre l’iperliberale Bernard-Henri Lévy arriva a postulare che «non bisogna rispettare sempre l’elettorato». E mentre emergeva un’Italia accerchiata a livello internazionale, la Meloni ha replicato con un efficace attivismo diplomatico da Bruxelles a Algeri. Per molti osservatori, compreso Cozzi, «Giorgia» dovrà dimostrare di essere la nuova Thatcher per non essere ricordata come una postfascista in doppiopetto e «Signore degli Anelli» sotto il braccio. Più semplicemente proseguirà su un canovaccio nazionalpopolare sulla strada della destra della realtà, poco salottiera e ben riconoscibile dagli esclusi dal gran ballo chic della globalizzazione. La strada che finora l’ha portata sorprendentemente dalla Garbatella a Palazzo Chigi.

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