Sanitopoli
«L’appalto fu truccato per Giampi, giusta la condanna di Frisullo»
La Cassazione: no alla revisione del processo per l’ex vice di Vendola
Non c’è alcun errore, ma solo normale «difformità di valutazioni», nella decisione con cui la Corte d’appello di Bari nel 2014 condannò a un anno l’ex vicepresidente della Regione, Sandro Frisullo, per aver truccato due appalti della Asl di Lecce a favore dell’imprenditore suo amico Gianpaolo Tarantini. A 13 anni da quei fatti la Cassazione (Sesta sezione, presidente Di Stefano) ha messo un punto definitivo alla vicenda con le motivazioni del «no» alla revisione del processo chiesta dall’allora esponente del Pd, che nel suo lungo excursus processuale ha visto cadere tutte le accuse (a partire dalla associazione per delinquere) tranne una singola turbativa d’asta.
L’inchiesta della Procura di Bari sulla «sanitopoli» di Gianpi Tarantini portò nel marzo 2010 all’arresto in carcere di Frisullo, accusato di essere stipendiato dall’imprenditore in cambio di appalti. Accuse - queste - mai provate. Ma invece Gianpi e Frisullo sono stati condannati in abbreviato per aver truccato la fornitura di due tavoli operatori e di strumenti chirurgici al «Vito Fazzi» di Lecce. Per lo stesso episodio - su questo si basava la richiesta di revisione, già respinta a febbraio 2021 dalla Corte di appello di Lecce - erano invece stati assolti con il rito ordinario sia l’ex direttore amministrativo della Asl salentina, Vincenzo Valente, che Claudio Tarantini fratello di Gianpi.
Nonostante il diverso parere della Procura generale (il sostituto pg Marco Dall’Olio aveva chiesto la revoca della condanna) la Cassazione ha detto che l’esito complessivo della vicenda rientra nella normale dialettica processuale. «Non si può parlare di contrasto di giudicati se i fatti posti a base delle due decisioni siano stati descritti, dal punto di vista del loro accadimento oggettivo, in maniera coincidente ed il diverso epilogo del giudizio sia dipeso da una differente valutazione della rilevanza giuridica delle medesime circostanze di fatto».
La Cassazione ha infatti ritenuto che il diverso esito è dovuto essenzialmente alle diverse scelte processuali e soprattutto al comportamento processuale di Gianpi. Nell’abbreviato di Frisullo - è detto in sentenza -, «sono state ritenute attendibili e probanti le dichiarazioni accusatorie ed autoaccusatorie rese da Tarantini Gianpaolo, che per contro non sono state invece acquisite nel separato dibattimento, conclusosi in primo grado con sentenza di assoluzione divenuta irrevocabile per la stessa accusa nei confronti dei coimputati Vincenzo Valente e Tarantini Claudio, essendosi il predetto dichiarante avvalso della facoltà di non rispondere». Nel processo a carico del fratello, Gianpi scelse di non parlare (come è suo diritto).
La condanna di appello del 2014 fu confermata in sede di legittimità dalla Cassazione nel 2016, proprio sulla base dell’«elemento dichiarativo di rilievo fondamentale» costituito dalle dichiarazioni di Tarantini. Ora la Suprema corte ribadisce che quella condanna dipese dal diverso peso che fu dato, nel giudizio abbreviato, ad una circostanza già emersa nel giudizio ordinario: i due appalti vennero aggiudicati all’offerta economicamente più vantaggiosa, consentendo di dare un peso minore al prezzo e maggiore alla qualità. E mentre per un giudice era un elemento neutro, per quello che ha pronunciato la condanna era un elemento di «maggiore discrezionalità che ha consentito al Frisullo attraverso l'intervento di Valente di pervenire all'aggiudicazione pilotata della gara in favore delle imprese dei due fratelli Tarantini». Frisullo dovrà pagare le spese alla Regione (avvocato Miria Vigneri) che era costituita parte civile.