Costo della vita

Caffè «salatissimo»: al bar fino a 75 centesimi in più

Redazione Primo Piano

Guerra e inflazione colpiscono le famiglie, ma al Sud pesano meno

Ad oggi, gli effetti della guerra in Ucraina produrranno per il 2022 un calo del Pil di 24 miliardi di euro reali che corrisponde a una perdita di potere d’acquisto medio per ciascuna famiglia italiana pari a 929 euro. Lo rileva la Confederazione generale italiana dell'artigianato (Cgia) che ha stimato questo costo dal confronto tra le ultime previsioni di crescita del Pil realizzate prima dell’avvio del conflitto (gennaio 2022) con le successive realizzate dopo l’invasione russa (aprile), dove emerge che il calo della ricchezza prodotta in Italia sarà dell’1,4%.

In termini assoluti il deterioramento della situazione economica generale provocherà un calo in termini reali del Pil pari a 24 miliardi di euro che, rapportati ai 25 milioni di famiglie, si traduce in una perdita di potere d’acquisto per ciascun nucleo di 929 euro. Queste stime, ovviamente, sono parziali e suscettibili di cambiamenti specie se la situazione militare subisse un’escalation. Le famiglie più penalizzate saranno quelle del Trentino A.A. (-1.685 euro), della Valle d’Aosta (-1.473 euro) e del Lazio (-1.279 euro). Se le prime risentiranno, principalmente, dell’aumento dei costi energetici, la terza, che è decisamente condizionata dai risultati della provincia di Roma, patirà, in particolar modo, del forte calo dei consumi interni e per l’effetto dell’inflazione sui beni importati (nel biennio 2020-2021 la regione Lazio ha registrato un saldo commerciale negativo di 17 mld). Altrettanto critica la situazione in Veneto (-1.065 euro), in Toscana (-1.059 euro) e in Basilicata (-1.043 euro): nelle prime due la perdita di potere d’acquisto sarà riconducibile, in particolar modo, alla contrazione della domanda interna e ai rincari delle bollette di luce e gas, così come nel Piemonte (-1.039 euro) e in Emilia R. (-1.035 euro). Per le regioni del Sud, infine, l’impatto della crisi sarà meno «violento» con costi energetici molto più contenuti , un’economia meno aperta ai mercati internazionali e dimensionalmente più piccola in termini di Pil procapite, l'impatto negativo sulle famiglie sarà più contenuto. Il pericolo che il Paese stia scivolando lentamente verso la stagflazione è molto elevato col rischio, nel medio periodo, di spingere anche la nostra economia verso una crescita pari a zero, con una inflazione che si avvierebbe a sfiorare le due cifre. Uno scenario che potrebbe addirittura rendere pressoché inefficaci i 235 mld di euro di investimenti previsti nei prossimi anni dal Pnrr.

Intanto esplode in Italia il fenomeno del «caro-caffè», con la classica tazzina di espresso che raggiunge nei bar prezzi sempre più alti e rincari in alcuni casi a due cifre rispetto al 2021. Lo denuncia oggi Assoutenti, che ha stilato la mappa ufficiale dei prezzi dell’espresso nelle principali province italiane colpiti, come altri prodotti, dalla fiammata di inflazione che sta investendo l’Italia e l’Europa. Il prezzo medio nazionale del caffè è oggi di circa 1,10 euro contro 1,038 euro del 2021 - afferma Assoutenti.

La palma del caro-caffè spetta al Trentino Alto Adige, con i bar di Trento che vendono l’espresso consumato al banco in media a 1,25 euro, 1,24 euro a Bolzano. Anche a Cuneo il caffè costa 1,24 euro. In ben 3 province dell’Emilia Romagna (Ferrara, Ravenna e Reggio Emilia) l’espresso abbatte la soglia psicologica di 1,20 euro, così come in Veneto (Rovigo e Venezia), mentre a Padova e Vicenza il prezzo medio è di 1,19 euro. Il caffè più economico d’Italia - avverte Assoutenti - è quello servito dai bar di Messina (0,89 euro), seguita da Napoli, città dove l’espresso è una tradizione storica (0,90 euro) e da due province calabresi (Reggio Calabria e Catanzaro, 0,92 euro).

La mappatura del caffè realizzata da Assoutenti registra così differenze abnormi dei listini tra nord e sud Italia: il caffè costa a Trento addirittura il 40,5% in più di Messina, pur essendo il medesimo prodotto e realizzato allo stesso modo. L'associazione dei consumatori ha poi messo a confronto i listini attuali con quelli in vigore lo scorso anno: si scopre che per il caffè al bar i rincari dei prezzi sono generalizzati e raggiungono quota +16% a Pescara, +15% a Catanzaro, +13,6% a Cosenza, +13,5% ad Alessandria, +12,8% a Bari, +12,7% a Cuneo. Solo 5 province, Napoli, Biella, Lucca, Novara e Macerata, hanno mantenuto stabile il prezzo medio del caffè, mentre in tutte le altre città italiane si registrano aumenti anche pesanti.

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