L'intervista
«Contro l’Anpi è in corso una campagna stalinista», il presidente Pagliarulo: no all'invio di armi a Kiev
«Non sono putiniano» Il leader dell’associazione sabato a Bari. «Non sono mai stato filo Zar. È una caricatura oscena nella quale non mi riconosco»
Presidente Gianfranco Pagliarulo, dal 24 febbraio l’Anpi è al centro di polemiche per la posizione assunta sulla guerra in Ucraina. Come la riassumerebbe?
«L’invasione della Ucraina da parte della Federazione russa è avvenuta la notte del 24 febbraio. All’alba ascolto la notizia francamente sconvolgente, e convoco la segreteria nazionale dopo tre ore. Approviamo immediatamente una dichiarazione di condanna inequivocabile dell’invasione. Da questo punto di vista non ci sono dubbi nonostante tante interpretazioni malevoli».
La posizione dell’associazione però è articolata.
«Certo: abbiamo mantenuto questa linea di aspra condanna con crescente preoccupazione per le conseguenze interne e internazionali. Abbiamo espresso un’opinione sfavorevole all’invio di armi all’Ucraina perché temevamo e temiamo che si possa alimentare una escalation bellica in Europa e nel mondo. Escalation già in atto: negli ultimi due mesi vediamo crescenti tensioni, tra guerra e livore nei rapporti internazionali».
In sintesi non si definisce putiniano?
«Non lo sono mai stato. È una caricatura oscena nella quale non mi riconosco».
Che ruolo dovrebbe svolgere l’Italia?
«Il nostro paese e l’Ue, pur mantenendo un atteggiamento di rigida condanna e immaginando forme dissuasive nei confronti dell’invasione, dovrebbero dar vita ad una proposta attraverso cui arrivare ragionevolmente ad una trattativa».
La diplomazia langue.
«Manca una via d’uscita: come e quando finisce? Abbiamo visto tentativi abortiti da parte di Israele, Cina e Turchia, ma non abbiamo mai visto l’Ue candidata a svolgere un ruolo pacificatore, che non portasse alla vittoria sul campo della Russia ma indicasse una mediazione degna. Ci si è mossi soltanto nella direzione del contrasto crescente nei confronti della Federazione russa. Anche il responsabile europeo della politica estera auspica una vittoria di Kiev sul campo. Se la posizione è questa non c’è spazio per una Europa soggetto terzo nelle trattative».
Le armi dall’Italia vanno inviate?
«No. È uno dei tanti atti che alzano l’asticella della tensione. È ovvio che l’invio di armi diventa un nuovo bersaglio dei russi, come a Leopoli. E i rapporti tra Russia e Italia si sono incrinati».
Inevitabilmente.
«Roma ha un problema: l’invio di armi può essere visto, a torto o a ragione, come un atto di co-belligeranza del nostro paese. Ricordo che l’Italia è piena di basi Nato e Usa, attivissime, come Aviano e Sigonella, con un arsenale atomico di grande rilievo. E l’Italia, può diventare un luogo in prima fila come bersaglio».
Il Pd è stato molto critico nei confronti dell’associazione?
«Non è così. Abbiamo svolto uno straordinario congresso e abbiamo fatto intervenire i nostri ospiti, circa 40. Da Enrico Letta a Giuseppe Conte, dal ministro Speranza a Don Luigi Ciotti. Lo stesso Letta ha dichiarato che - nonostante la differenza delle opinioni - non attaccherà mai l’Anpi. Mi preoccupa il dibattito pubblico».
Cosa in particolare?
«Assistiamo ad una militarizzazione delle scontro delle idee, con elementi di intolleranza e di linciaggio pubblico estranei alla natura della nostra democrazia. Si tratta di una campagna davvero stalinista nei confronti dell’Anpi e della mia persona».
Con che effetti?
«Non ci arrendiamo e continuiamo a praticare la proposta di discutere e far sì che questa catastrofe causata dai russi non si riversi nel nostro paese. L’unica strada è mantenere il filo del dialogo».
In che modo?
«Ci sono indubbie differenze. Ma c’è unità delle forze democratiche nell’operare per la pace. L’Ucraina è una bomba ad orologeria. Bisogna disinnescarla a tutti costi. Lo dice con ben altra forza Papa Bergoglio, ora assai poco ascoltato».
La sua riflessione ha elementi comuni con quella di Franco Cardini e Luciano Canfora…
«Rispetto i due accademici ma non sono necessariamente d’accordo con loro. Leggo i fatti con molto realismo, mantenendo una scala valoriale».
Le contestano i post su EuroMaidan del 2014.
«Quello che è avvenuto nel 2013-14 è stato un fatto oscuro, osannato come messaggio di libertà da autorevoli rappresentanti dell’Ue. Per me è stato un errore. C’erano allora in campo forze che volevano un cambio di regime, nonostante ci fosse un presidente eletto dal popolo, sigle militari organizzate di tipo nazista, come Pravy sector e Svoboda. Le informazioni sul battaglione Azov di cui oggi si favoleggia? Tutto falsificato: è una formazione che ha come simbolo una runa, simile alla svastica, utilizzata dalle SS, con il sole nero. Tutti possono vedere su Internet le foto dei miliziani di Azov con l’effige di Hitler. Peraltro anche in Russia non sono santarelli: lì c’è il gruppo Wagner, un’armata di mercenari, il cui capo ha le mostrine delle SS tatuate sulle spalle. Criticare Azov, o EuroMaidan non vuol dire sostenere Putin. Noi diciamo la verità per quello che è: non bisogna dimenticare anche la strage di Odessa firmata dai nazisti ucraini. E il governo di Kiev di allora insabbiò l’inchiesta… Un giudizio su quei mesi può essere opinabile ma è legittimo».
Sabato sarà a Bari per una manifestazione della Regione sulla Liberazione.
«Il titolo è indovinato: “La resistenza è un bel futuro”. Da lì sono venuti valori della costituzione, mai tanto attuali. Il punto è che quei valori non si sono tutti realizzati. Immagino una “resistenza” come impegno per riempire il vuoto tra la costituzione e ciò che di essa è stato applicato. Penso fra le tante cose al lavoro e alle morti bianche. È vero, è un bel futuro. Non conta solo la ricerca della bellezza, ma anche la bellezza civile della ricerca dei valori; dà senso alla vita».
Torna nella sua città natia. C’è un luogo a cui si sente legato?
«Al mare della mia città. Sento la mancanza di entrambi».