il punto del direttore

Il caso di Avetrana e l’attacco periodico alla magistratura

Mimmo Mazza

Il copione recepisce piccole variazioni sul tema, utili per lanciare ora una fiction, ora un libro, ora una candidatura alla Consulta, in attesa di non si sa bene di che cosa

La compagnia di giro da ormai 14 lunghi anni è praticamente sempre la stessa: il principe del foro che non accetta di aver perso un processo (capita); la giornalista custode della causa e a volte perfino della casa teatro del delitto; l’imputato disponibile a dire quello che gli si chiede purché lontano dalle aule di giustizia; la parente che nel periodo clou dell’inchiesta era altrove e dunque parla per sentito dire.

Il copione recepisce piccole variazioni sul tema, utili per lanciare ora una fiction, ora un libro, ora una candidatura alla Consulta, in attesa di non si sa bene di che cosa.

Il traguardo da tagliare invece no, quello rimane immutabile, ovvero tentare periodicamente come micro obiettivo di insinuare il dubbio che a uccidere Sarah Scazzi il 26 agosto del 2010 ad Avetrana (non a Hollywood, confermiamo) sia stato lo zio della povera 15enne Michele Misseri e non la zia Cosima Serrano e la cugina Sabrina Misseri, come attestato - appena appena - da tre sentenze conformi e definitive, e come macro obiettivo invece quello di minare la credibilità della magistratura, considerando sentenze e migliaia di pagine di motivazioni inutili orpelli dai quali si può in maniera disinvolta fare a meno.

«Ma allora, chi ha ucciso Sarah?» mi ha chiesto ieri mattina il farmacista di fiducia dopo aver assistito all’ennesimo show televisivo rigorosamente senza contraddittorio, senza un dubbio, senza ricordare alcun elemento a sostegno della tesi opposta e scolpita in tre sentenze. Perché così funziona la campagna che periodicamente viene orchestrata e che stavolta è approdata perfino sul Tg1 che pure sul caso Scazzi ha svolto negli anni un lavoro di segno diverso, professionale e equilibrato, mai piegata su una soltanto delle parti processuali.

Sabrina e sua mamma Cosima, la mia risposta al mio interlocutore. Non per partito preso ma perché così hanno attestato tre corti giudicanti e perché quello emerge dalle carte processuali, frutto del lavoro svolto dagli inquirenti dal primo all’ultimo giorno della indagine, carte che abbiamo letto dalla prima all’ultima.

Ma è evidente che la partita che si gioca periodicamente sulla pelle della povera Sarah ha altri fini o comunque si approfitta del calo di fiducia nelle toghe, nel rumoroso silenzio del Csm e degli organismi di categoria, per guadagnare share e consensi. Le ricorrenti polemiche, di matrice politica, sulla politicizzazione della magistratura e sulle esorbitanze che ne deriverebbero sono spesso alimentate da equivoci, più o meno volontari, che creano confusione nell’opinione pubblica, anche a fronte - come nel caso di Avetrana - di sentenze definitive. Non è difficile scorgere dietro gli attacchi ai magistrati come singoli e alla magistratura come istituzione la perenne aspirazione di un certo potere a liberarsi delle remore e dei fastidi derivanti dalle applicazioni pratiche del principio di legalità, da tutti esaltato in astratto, da molti contrastato in concreto. Le occasioni per sollevare polemiche - talvolta fondate, il più delle volte pretestuose - si moltiplicano in un contesto sociale, politico e giuridico sempre più frammentario e refrattario rispetto proprio ai princìpi di legalità.

D’altronde chi non conosce a fondo la vicenda di Avetrana, non può non farsi prendere dal dubbio se a 7 anni dal giudizio della Cassazione, periodicamente in prima serata, e l’altra sera perfino nel telegiornale più seguito, viene messa in dubbio la verità processuale con interviste compiacenti (chissà se gratuite) e senza alcuna voce ancorata a quanto emerso nelle aule di giustizia.

Chiunque abbia una pur modesta pratica della giurisdizione, come magistrato o avvocato o come cronista giudiziario, sa bene quanto sia possibile mascherare opzioni personali o politiche dietro una finta interpretazione letterale e testualistica delle norme. Con un gioco di prestigio, il soggettivo si trasforma in oggettivo e si forma un diritto in cui le scelte politiche sono spacciate per autentica volontà del legislatore.

I magistrati più responsabili e consapevoli (per fortuna sono molti) rifuggono da tali infingimenti e tendono a palesare i propri giudizi di valore, di modo che i destinatari degli atti giudiziari e il più vasto pubblico possano rendersi conto dell’aderenza delle pronunce giurisdizionali ai principi posti dalla Costituzione (e dagli atti internazionali e sovranazionali cui l’Italia è sottoposta).

È esattamente quanto è avvenuto nella vicenda di Avetrana, prima o poi toccherà prenderne definitivamente atto. Non che manchino nel caso Scazzi aspetti che avrebbero meritato forse un approfondimento (chi c’era a casa Misseri alle 14 del 26 agosto? Chi guidava l’auto amaranto schizzata a tutta velocità più o meno a quell’ora?) ma da qui a imbastire una campagna lunga 14 anni ce ne corre. O no?

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