L'editoriale

Il Sud delle aree interne: un’occasione di ritorno al futuro

Oscar Iarussi

Si potrebbe provare a riconoscere in questo mondo «arcaico» talune contraddizioni tipiche della postmodernità e dei conflitti nel mondo contemporaneo.

L’estate è ritorno. Tornano gli emigranti, sebbene non più tutti come una volta, nei paesi spopolati del nostro Sud, mentre la «desertificazione» - sostiene la Svimez dati alla mano - contagia le città meridionali da cui fuggono i più giovani e i più acculturati.

Tornano per le vacanze gli studenti fuori sede, i figli della borghesia che si iscrivono a Milano o Torino, Bologna o Trento, quando non all’estero, sperando in maggiori opportunità per il futuro. Un portato della fine della questione meridionale, su cui è appena uscito per i tipi di Carocci un acuto saggio dello storico economico Filippo Sbrana, Nord contro Sud – La grande frattura dell’Italia repubblicana.

Certo, questi ragazzi sono la prima generazione di emigranti che non produce rimesse in denaro verso le terre di origine, anzi, moltiplica la ricchezza dei luoghi di studio: tasse universitarie, affitti, generi alimentari, divertimenti e naturalmente, in prospettiva, saperi e competenze che non faranno rientro a casa, se non in minima parte.

Colpisce perciò cogliere qualche indizio in controtendenza che giunge dalle cosiddette «aree interne». È il caso della piccola Moliterno in provincia di Potenza, 3500 abitanti, a quasi tre ore di auto da Bari attraversando la pianura infuocata fino a Taranto e poi un paio di valli, costeggiando dighe, pozzi petroliferi, calanchi lunari e boschi lungo strade che a tratti sembrano una metafora della verde lontananza (per Hermann Hesse era azzurra), esotica e purtuttavia familiare.

Il motivo della puntata a Moliterno è stato un incontro nell’ambito del cartellone estivo allestito dal giovane sindaco Antonio Rubino, di professione bibliotecario-archivista, esponente di Italia Viva eletto a capo di una lista civica di trenta-quarantenni. Tra gli appuntamenti già tenuti o a venire, quelli con il poeta Davide Rondoni sulla «intelligenza degli umili» nei Promessi sposi per il centocinquantesimo anniversario della scomparsa di Alessandro Manzoni, con gli autori Cinzia Tani, Maurizio De Giovanni e Franco Arminio, il concerto di Enzo Avitabile etc.

L’altra sera chi scrive ha conversato in pubblico sulle «sfide del giornalismo meridionale», in un momento non propizio per l’opinione pubblica surclassata dalla comunicazione social, insieme con il sindaco e lo scrittore di origini lucane Andrea Di Consoli. Non vogliamo riassumere gli interventi, se non accennare all’orgoglio - affiorato durante la chiacchierata nell’atrio del Municipio - per aver dato i natali a uno dei pionieri del giornalismo ed inviato di guerra dell’Ottocento prima borbonico e poi unitario. Si parla di Ferdinando Petruccelli della Gattina (Moliterno 1815 - Parigi 1890), scrittore mazziniano e politico ante litteram contro «la casta» (I moribondi di Palazzo Carignano il suo libro più noto), del quale una giovane editrice del paese, Valentina Porfidio, sta riproponendo i testi storico-letterari, da ultimo il romanzo Il sorbetto della Regina con una bella introduzione di Marcello Veneziani.

Le «aree interne», ovvero appenniniche, marginali e talora isolate, da qualche lustro sono oggetto di attenzione crescente da parte di studiosi, intellettuali, artisti, letterati - non solo lucani - come gli stessi Di Consoli e Arminio (il poeta e portabandiera della «paesologia»), Giuseppe Lupo, Rocco Papaleo, Angelo Mellone, Michelangelo Frammartino, Antonello Faretta, Mimmo Sammartino, Vinicio Capossela, Vito Teti, Alessandra Lancellotti, Pier Giorgio Ardeni, per certi versi Gaetano Cappelli, e numerosi altri. Interventi rincuorati dall’esperienza di Matera capitale della Cultura 2019, per quanto sia ancora da analizzare nelle sue luci e ombre.

Sono apporti che hanno alle spalle una tradizione importante sul Mezzogiorno nascosto, da Ignazio Silone a Elio Vittorini, da Carlo Levi a Rocco Scotellaro fino a Pier Paolo Pasolini nei cui epigoni balena il rimpianto per la perduta civiltà contadina. E ancora, da Leonardo Sciascia a Raffaele Nigro, da Amerigo Restucci ad Antonio Paradiso, da Franco Cassano a Pietro Laureano, nonché case editrici come Laterza, Rubbettino, Donzelli.

Nel merito fa testo Manlio Rossi-Doria, il quale distinse la «polpa» costiera e l’«osso» appenninico nell’economia meridionale del dopoguerra. Oggi invece - paradossalmente - si potrebbe coltivare l’ipotesi che la polpa sia l’osso. La polpa ossea delle aree interne e «l’intelligenza degli umili» sono una riserva fin qui non attinta per un ricominciamento economico-sociale e magari emotivo del Paese, se innervate (trasporti, formazione, reti telematiche) all’insegna della «leggerezza» o sostenibilità delle infrastrutture. Del resto, la Biennale Architettura già nel 2018 a Venezia prospettava per le aree interne, dalla Barbagia alla Val Basento, un destino da «spazio urbano nel Mediterraneo» per dirla con Fernand Braudel.

Non vogliamo favoleggiare di una regressione felice né contemplare i paesi perduti e le nostalgiche rovine. Tanto meno, che so, vantare le virtù del clima meridiano (col caldo di questi giorni, poi, lasciamo stare) in opposizione al divario del Pil rispetto al Nord. Ma si potrebbe pur provare, andando un po’ oltre le legittime aspettative per il Pnrr, a riconoscere nel Sud «arcaico» talune contraddizioni tipiche della postmodernità e dei conflitti nel mondo contemporaneo. Così è in effetti in tema di lavoro, ambiente, migrazioni, lasciti del fordismo (Melfi, Cassino, Pomigliano d’Arco, Val di Sangro), fonti energetiche fra l’Eni e le pale eoliche... E la sfida sempre mancata finora della cultura e del turismo.

«Che sarà, che sarà, che sarà», cantavano cinquant’anni fa i Ricchi e Poveri e José Feliciano. Ricordate i primi versi, ispirati a Bernalda? «Paese mio che stai sulla collina / Disteso come un vecchio addormentato». Beh, ci svegliamo?

Privacy Policy Cookie Policy