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Raccontare Edipo, la tragedia del re in grecanico calabrese

Pasquale Bellini

Tragùdia-Il canto di Edipo, in scena a Bari (Teatro Piccinni) realizza una distanza come da un mondo remoto, affiorante da tenebre ancestrali e come da una lingua misterica e “sacra”, nei confronti della terribile vicenda di Edipo

Edipo è uno di quei personaggi che dalla parola poetica di Sofocle (in Edipo Re e in Edipo a Colono) sono stati consegnati per sempre alla memoria e all’immaginario collettivo della cultura occidentale. Insieme a uno scarno gruppetto, sia di Greci eternamente “nostri contemporanei” sia di altra gente più moderna (tipi come Ulisse, Antigone, Medea, Amleto, Don Giovanni...) si può dire che Edipo esprima, sia pure nella tragedia dolorosa della conoscenza di se stesso e nella contrapposizione a un Destino fatale determinato dagli Dei, come un’ansia (quasi “moderna” e per così dire “laica”) di costruire in autonomia il proprio destino attraverso la conoscenza, anche a prezzo del dolore, un dolore per definizione “umano, troppo umano” dirà Nietzsche.

Nello stesso Sofocle si passa, fra l’Edipo re e quello a Colono, dal mondo della vendetta atavica e fatale (per uno, inconsapevole, che uccide il padre e si congiunge carnalmente con la madre, violando tutti i tabù tribali) si passa cioè all’universo, in fieri, della Polis con le sue leggi capaci anche di perdonare, in questa Atene-Colono, per un nuovo patto fra gli Uomini e gli Dei.

Altra la visione, pur fascinosa di cupe oscurità e di sanguigne efferatezze, che si ritrova in questo spettacolo Tragùdia-Il canto di Edipo, in scena a Bari (Teatro Piccinni, stagione del Comune e di Puglia Culture) recitato e intonato nella lingua “grecanica” (da una comunità, in questo caso, calabrese) che in effetti vieppiù realizza una “distanza” come da un mondo remoto, affiorante da tenebre ancestrali e come da una lingua misterica e “sacra”, nei confronti della terribile vicenda di Edipo. La regia, con riduzione dai testi, scene, costumi, suono e luci, è in tutto appannaggio di Alessandro Serra, autore anni fa (2017) di un apprezzato e premiato Macbettu, che riportava a radici e lingua sarde la storia scozzese del re scespiriano. Qui, con Edipo, la soluzione è quella di affondare e far emergere il tutto da un nero fondo di tenebre, attraverso questa assai remota lingua liturgica, molto intonata e cantata da personaggi-sacerdoti di un antico rito. Edipo, all’inizio scioglie razionalmente l’enigma della Sfinge (essere femmineo-dark, nero con ali) ma è subito travolto e irretito nella peste che opprime Tebe, nella ricerca misteriosa, tra fumi d’incenso dai turiboli, vaticini e volo d’uccelli (con molte strida e molte grida) di una verità che lo trascinerà, anziché verso la luce, verso l’orrore buio della cecità. La soluzione scenica rimanda a ritualità greco-ortodosse, con fondali di scuri pannelli, come per un’iconostasi a nascondere-rivelare il mistero del sacro. 

Emerge anche un rapporto, evidenziato ed è un elemento abbastanza nuovo, a momenti morboso con la madre-sposa Giocasta, qui abbracciata e brancicata nel suo abito (l’unico) bianco. Ma la dimensione corale e cerimoniale prevale, con un eccesso forse di distanziamento in questa lingua antica, armoniosa e musicale ma pur sempre remota (nonostante la traduzione che scorre in alto, ma distrae). Soluzione ardita e sperimentale, questa di Serra del grecanico, eppure alquanto sofisticata. 

Diversa, più strutturata e come normalizzata sul piano scenico-registico, la parte conclusiva con Edipo a Colono, quando il ciecobrancolante è accompagnato dalla figlia Antigone: al buio si sostituiscono toni legnosi e più chiari, pannelli mobili da cui fuoriescono sacerdotali figure di Atene, come il re Teseo, sagoma orientale con maschera, kimono e gestualità stilizzata. Anche un paio di citazioni comico-grottesche, con i due ubriachi dalla Tempesta scespiriana (precedente regia di Serra), addirittura con la scena del candeliere e del camino girevole dal Frankenstein Junior di Mel Brooks. Di quest’ultima non si comprende però il senso. 

Irrompe poi, in questa sezione con l’Edipo a Colono, la volgarità della politica, con Creonte e il figlio Polinice, questi in polverose e stanche esibizioni guerresche, i quali reclamano il primato della forza rispetto alle ragioni del perdono e della mitezza amorevole. Ma Edipo si allontanerà e scomparirà nel bosco sacro delle Eumenidi, le Furie divenute Benevole, anche grazie al “nuovo” ethos della Polis, proclamato in Atene da Teseo. 

Tragùdia-Il canto di Edipo con questa lettura di Alessandro Serra, si avvale della trascrizione in grecanico di Salvino Nucera, mentre per la recitazione è all’opera un affiatato cast, in recitare il grecanico e le sue intonazioni, con voci, canti e stridule grida coordinati da Bruno de Franceschi. In scena Jared McNeill (Edipo), Alessandro Burzotta, Salvatore Drago, Francesca Garbucci, Sara Giannelli, Chiara Michelini, Felice Montervino. 

Lo spettacolo, dopo gli applausi del pubblico alla prima, si replica anche oggi (h 18.00) nel Teatro Piccinni.

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