letteratura
Kafka rideva volentieri. La metafisica dell’ironia
L’umorismo ebraico può essere una potente arma di difesa e di attacco
Nel 1999 uno dei più interessanti scrittori statunitensi del dopoguerra, David Foster Wallace, nel suo scritto Alcune considerazioni sulla comicità di Kafka evidenziava la difficoltà di far comprendere ai suoi studenti che Kafka aveva una vocazione comica. L’autore di un racconto ansiogeno come La metamorfosi, di un romanzo surreale come Il processo e di un altro romanzo che definire onirico sarebbe un eufemismo, Il castello, possedeva una incredibile vena ironica ma soprattutto autoironica, caratteristica questa derivata indubbiamente dalla sua matrice ebraica. Un bel proverbio ebraico dice “L’uomo pensa, Dio ride” per sottolineare i vani tentativi dell’uomo di dare un senso alle cose categorizzandole, senza accorgersi di offrire uno spettacolo divertente.
L’umorismo ebraico può essere una potente arma di difesa e di attacco. L’ebreo praghese Franz Kafka era un uomo malinconico e schivo ma al tempo stesso ironico, amichevole, solare. È storia nota che abbia fatto ridere tutti i suoi amici leggendo loro il capitolo iniziale de Il processo per la prima volta. Un uomo che potrebbe essere chiunque, chiamato Josef K., viene prelevato dalla sua dimora e condotto in un luogo di detenzione per non si sa quale reato; egli si dibatte nel tentativo di afferrare le ragioni della sua prigionia ma cozza continuamente contro un muro di gomma che respinge la sua ansia di verità. È una storia tragica eppure una buona dose di ironia condisce la trama: l’Autore osserva i suoi goffi tentativi con distacco divertito, sapendo bene che la realtà è inconoscibile, inafferrabile. A tratti Il processo presenta aspetti tipici dell’umorismo slapstick, sottogenere del film comico nato con il cinema muto di Charlie Chaplin ad esempio o di Buster Keaton.
Cosa può esserci di divertente e comico nella vicenda di un modesto impiegato, Gregor Samsa, che al mattino, destatosi come al solito per andare al lavoro, scopre di essere diventato un orribile scarafaggio, ripugnante ma anche un po’ goffo e spaesato in quel suo nuovo corpo? Il fatto è che Gregor si preoccupa dell’orario dei treni e dell’ufficio e i suoi parenti si affannano a comprendere cosa sta accadendo reagendo con un misto di orrore e fastidio come se Gregor fosse un problema domestico da risolvere. La famiglia ostenta un atteggiamento quasi burocratico dinanzi al problema facendo scaturire una amara comicità.
Da una bellissima intervista a Federico Fellini emerge proprio il lato umoristico dell’opera kafkiana, una risata che possiede qualcosa di onirico e inquietante. Il biografo di Kafka nonché suo amico fraterno, Max Brod, scriveva che «Kafka rideva volentieri e cordialmente e sapeva far ridere gli amici. Il suo è un sorriso al cospetto delle cose ultime, metafisico, che talvolta, quando leggeva a noi amici uno dei suoi racconti, si intensificava fino a che si scoppiava tutti in una risata».
I personaggi kafkiani parlano spesso in modo serio di cose surreali come nel racconto Davanti alla legge in cui un tizio aspetta tutta la vita il permesso di entrare in una porta riservata solo a lui, senza mai attraversarla. Il custode che gli impedisce di accedere mantiene sempre un tono solenne quasi fosse una autorità e questo innesca un meccanismo comico dinanzi alla incomprensibilità delle ragioni. Infatti - come sottolinea Milan Kundera - «ciascun personaggio di Kafka si trova rinchiuso nella barzelletta della propria vita come un pesce in un acquario; ma la cosa è divertente solo per chi si trova davanti all’acquario, non per lui che si trova dentro l’orrore del comico».
Il castello è l’esempio perfetto di barzelletta surreale in cui l’agrimensore K. cerca di raggiungere un misterioso castello che domina un villaggio per vedere riconosciuta la sua posizione. Ma quel castello si rivela un luogo inaccessibile, metafora del potere occulto della burocrazia che imprigiona l’individuo. K. non vedrà mai riconosciuto il suo ruolo e finirà per fare il bidello nella scuola locale mettendo in moto un meccanismo umoristico potente. Nel saggio Kafka umorista di Guido Crespi (1983) emerge un uomo dotato di grande senso dell’humour: l’assurdo kafkiano non è solo terrificante ma anche ridicolo.