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Pasolini, Olmi, Avati: viaggio nella poetica del cinema

Anton Giulio Mancino

L’aggettivo “poetico”, un tempo ridondante, o il sostantivo “poesia” hanno stretto storicamente una relazione molto stretta e soprattutto necessaria o strategica man mano che il cinema dai suoi esordi e per tutto il Novecento ha cominciato a cercare uno spazio paritario con le arti cosiddette maggiori

L’aggettivo “poetico”, un tempo ridondante, o il sostantivo “poesia” hanno stretto storicamente una relazione molto stretta e soprattutto necessaria o strategica man mano che il cinema dai suoi esordi e per tutto il Novecento ha cominciato a cercare uno spazio paritario con le arti cosiddette maggiori. “Poetico” viene ad esempio chiamato quel modello documentaristico che va dai capolavori di Robert Flaherty, come Nanuk l’eschimese, o di Joris Ivens come Pioggia, quindi gli ormai classici corti d’esordio di Michelangelo Antonioni come Gente del Po o Cantiere d’inverno di Ermanno Olmi.

Ma è soprattutto Pier Paolo Pasolini a coniare il concetto di “cinema di poesia”, per distinguerlo da quello di “prosa”, ottenendo come immediata conseguenza una contrapposizione protrattasi a lungo tra Bernardo Bertolucci, ascritto alla categoria “poetica” con Prima della rivoluzione rispetto a Marco Bellocchio confinato a torto dapprincipio in quella della “prosa” con I pugni in tasca.

Ed è curiosamente dalla stessa Emilia Romagna che un giovane studioso barese, Francesco Saverio Mongelli, classe 1977, insegnante, musicista, cantautore e scacchista, ha ricavato la sua ultima, recentissima monografia dedicata ad un altro longevo maestro di un’idea poetica di cinema come Pupi Avati: si intitola L’amicizia nel cinema di Pupi Avati. Solidarietà, tradimento, nostalgia che indica da subito il taglio non compilativo della trattazione, ma attento a distillare di Avati gli snodi di una poetica inconfondibile. Mongelli infatti ha scelto di non seguire la cronologia dell’autore dedicando come ormai accade irrimediabilmente nei libri di cinema che si dividono quasi in due categorie testarde, concorsuali/accademici, quindi illeggibili, e ossessivi, altrettanto illeggibili, laddove di rado si riesce a trovare il giusto mezzo del conguaglio continuo tra divulgazione e scientificità.

L’amicizia nel cinema di Pupi Avati, introdotto dallo storico cinematografico Steve Della Casa, attuale conservatore della Cineteca Nazionale, invece si spinge a cercare di superare la dicotomia, senza l’affanno del mercato a tutti i costi, per puntare sui temi chiave dell’universo Avati. Il focus natalizio del quarto capitolo induce oltretutto a consigliare il libro di Mongelli come strenna immancabile sotto l’albero, da scartare come si fa con la dovuta misura di affetto e consapevolezza analitica, rivolta a un autore non particolarmente studiato per remoti pregiudizi critici, ma che ormai non può sottrarsi al pieno riconoscimento di un magistero, per l’appunto “poetico” che gli è sempre spettato, dai film sentimentali alle commedie e alle parabole orrorifiche, senza soluzioni di continuità stilistiche, creative e culturali.

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