Sipario
Dalla Grecia al Novecento, il teatro dei poeti
Ha senso parlare di poesia a teatro? Direi proprio di sì, visto e considerato che per secoli, dai Greci in poi e almeno fino all’Ottocento, i testi teatrali furono in gran parte scritti in versi e in versi declamati dagli attori
Ha senso parlare di poesia a teatro? Direi proprio di sì, visto e considerato che per secoli, dai Greci in poi e almeno fino all’Ottocento, i testi teatrali furono in gran parte scritti in versi e in versi declamati dagli attori. Preferibilmente nel teatro tragico, ma spesso anche nelle commedie, l’ala sublime della poesia sembrò del tutto coerente con la pratica del teatro. Per non dire dell’obbligata forma poetica dei testi/libretti nel melodramma. Epigoni di tale “maniera poetica” possiamo porre, a mo’ di esempi, un Edmond Rostand (con il Cyrano a fine ‘800) o il nostro immaginifico Gabriele D’Annunzio (con le Figlia di Jorio, Fiaccola sotto il moggio, ecc.).
Ma qui voglio parlare di un diverso accostamento fra poesia e teatro: quello cioè, nella prassi biografica, tra il poeta e (udite, udite!) la critica teatrale, questa conosciuta. Ci sono stati, almeno in Italia e in tempi recenti, dei poeti (poeti veri, non della domenica) che hanno più che valorosamente esercitato il “mestiere del critico”, quello militante sulla carta stampata, e non per caso o per sbaglio ma per una continuativa esperienza professionale. Due nomi, di quelli sommi: Salvatore Quasimodo, per giunta Premio Nobel nel 1959, poi ancora Giovanni Raboni. Il primo scrisse per dodici anni (dal 1948 al 1960) recensioni sulle riviste Omnibus e Tempo; il secondo, Raboni, fu critico teatrale per il Corriere della Sera dal 1987 al 2000, succedendo al grande critico Roberto De Monticelli, che a sua volta aveva preso il posto nientemeno che di Renato Simoni (quello che “inventò” Pirandello!).
Di Quasimodo, le cui recensioni furono in volume nel 1984 (Ed. Spirali) col titolo Il poeta a teatro con prefazione di De Monticelli, resta evidente da quegli scritti un’evidente attenzione più al teatro inteso come testo letterario, come tale valido o meno, più che alla dimensione complessiva dello spettacolo nel suo farsi hic et nunc durante la recita in palcoscenico, valutabile perciò nell’insieme di spazio, tempo, recitazione degli attori, elementi scenico-visivi, ecc.
Proprio nel momento in cui (pensiamo alla Milano, dove viveva e operava Quasimodo, col Piccolo Teatro, Strelher, ecc.) si andava affermando in Italia (dopo che in Europa) il cosiddetto “teatro di regia” prevalente rispetto al precedente “teatro dell’attore” (e quindi del testo), ecco che il poeta Quasimodo privilegia la qualità letteraria, la dimensione della parola scritta rispetto alla “scrittura scenica” comunemente intesa. È poi il periodo, per Quasimodo critico teatrale, di accogliere e commentare testi di Sartre, Anouilh, Camus, Cocteau, degli americani Tenessee William’s, Arthur Miller, di espressionisti come Toller, Kaiser, infine di Brecht. Così per gli italiani Fabbri, Terron, Zardi, Squarzina, insieme a Eduardo e Dario Fo. Con la superiore ala del poeta Quasimodo analizza, commenta e giudica, sempre ponendo la qualità del testo scritto a monte di ogni giudizio. Il primo pezzo (per Omnibus) nel 1948 fu per un George Dandin di Molière, l’ultimo nel 1960 (su Tempo) fu per Sabato, domenica e lunedì di Eduardo.
Diversamente poeta Giovanni Raboni (1932/2004) che rispetto all’ermetismo di Quasimodo privilegia, nelle sue numerose raccolte poetiche, l’intonazione insieme civile ed esistenziale, con toni di sommesso impressionismo quotidiano, immerso in atmosfere quasi sempre milanesi. Le sue recensioni teatrali sul Corriere risultano poi sempre attente alla dimensione globale della messinscena, pur seguendo la linea di un indirizzo civile e “lombardo” dell’agire culturale e teatrale.
Il poeta e il critico, come s’è visto, non sono poi così in contrasto. È del poeta il fin la meraviglia, così intimava il Cavalier Marino nel ‘600. Più modestamente, poeti e critici, ci si accontenta oggi di una qualche attenzione. È pur sempre, di questi tempi, una meraviglia.