Le idee

Caso Claps, i «dedali d’ombra»

Carmela Formicola

La stessa domenica pomeriggio di sempre: silenziosa, sonnolenta, immobile

La stessa domenica pomeriggio di sempre: silenziosa, sonnolenta, immobile. «Nessuno può aprire le chiuse persiane», avrebbe detto Michele Prisco in quella Provincia addormentata che con tanta cura descrive il conformismo. Perché anche di questo parliamo, oltre che di un fatto di sangue e dell’ennesima donna massacrata. Era comunque una domenica pomeriggio quando Elisa Claps scomparve nel nulla a Potenza, provincia profonda. La storia è tristemente nota a tutti e quando l’abbiamo scoperta, in retrospettiva, ricomponendo il filo a ritroso, è stato impossibile non interrogarci su quelle persiane chiuse, sui segreti, sulla portentosa abilità di tacere. Di non vedere. Di non capire.

Efficacemente racconta di quel pomeriggio la recente fiction Per Elisa - Il caso Claps che torna nei luoghi, sebbene non fedelissimi, dove non solo si è consumato il crimine ma la successiva mistificazione. I tetti ripresi dall’alto, il dedalo di vicoli e viuzze, il centro storico. La famigerata chiesa. E il silenzio, quello della domenica pomeriggio, ad esempio, quello che ostinatamente si è steso come una nebbia sulla sparizione di una ragazza di 16 anni e sui protagonisti della storia: Danilo Restivo, l’assassino, e la sua famiglia, e gli amici di Elisa e gli inquirenti. Vediamo per la prima volta Gildo, il fratello di Elisa, muoversi nella città spenta della domenica pomeriggio, andare su e giù in cerca di sua sorella svanita da poche ore. Lo vediamo per la prima volta noi, nella fiction tv, perché i minuti eterni senza fiato, di dolore, di solitudine, nella trepidante ansia di una svolta salvifica, sono solo suoi, di Gildo (e dell’altro fratello Luciano) che quel pomeriggio del 12 settembre di 31 anni fa, si affannava, nel dedalo d’ombra della città, aggrappato alla candela morente della speranza.

«L’uomo è cattivo per natura». Se Hegel ha ragione, comprendiamo non solo l’omicidio di Elisa, esito di un assalto sessuale respinto, ma anche tutti i depistaggi, le omissioni, le connivenze che hanno connotato l’inchiesta. Qualcuno ha volutamente ignorato l’angoscia, l’attesa, il tormento della famiglia Claps, se n’è perfino preso gioco, in una vicenda che ricompone il grandioso affresco della provincia: niente scandali, soprattutto nella media o alta borghesia. Questo il cuore della storia e della stessa inchiesta giudiziaria.

Esiste una nuova estetica del voyeurismo intrinsecamente legata ai media. Il true crime sembra dar più piacere delle ore passate segretamente sui siti porno, perché il male piace e se visto in tivvù - o su qualsiasi dispositivo elettronico - ci dà una via di fuga assolutoria sul nostro bisogno di tenebra. I lavori televisivi su Elisa Claps (come quelli su Sarah o su Yara) seducono vieppiù perché nascosta nella fiction vibra una storia vera. Ci sono persone vere, emozioni vere, vero sangue, dolore autentico. D’altronde chi dimentica le incredibili fortune dei Peccati di Peyton place, una sorta di civettuola soap opera che dragando nella provincia americana degli anni Sessanta, consegnò con disarmante stupore una società profondamente corrotta, una società profondamente normale. E profondamente classista.

Quello che la fiction Per Elisa adombra senza calcare la mano è un paradigma sociale spiazzante: se fosse scomparsa la figlia di una famiglia dell’uptown vi sarebbe stata eguale indifferenza? Se il colpevole fosse stato un ragazzo disturbato di una anonima periferia avrebbe usufruito delle stesse coperture?

Sono le riprese di Marco Pontecorvo (autore tra l’altro della fotografia del Trono di Spade, oltre a portare sulle spalle l’eredità del padre Gillo) a rilasciare quella impalpabile sensazione di disagio: «Per Elisa - il caso Claps» non è dunque solo la ricostruzione di un omicidio a sfondo sessuale ma anche la narrazione di una città che sembra brillare in una fitta oscurità. 

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