Inchiesta tra Potenza e Bat

Appalti truccati e mazzette all'Ente irrigazione: 11 arresti

POTENZA - L’Eipli (Ente irrigazione di Puglia, Lucania e Irpinia) era stato istituito nel secondo dopoguerra per realizzare grandi infrastrutture in un Mezzogiorno assetato d’acqua, e occuparsi di «irrigazione e trasformazione fondiaria», ma - pur essendo destinato alla chiusura - era ancora un ricco forziere di appalti e fondi per milioni di euro, nelle mani di un gruppo di persone che, attraverso un «sottile» e complicato sistema di bandi e procedure, ne aveva preso il controllo, cercando anche di "agganciare» - senza successo - alcuni politici nazionali per averne una gestione completa e «mani libere» sulle attività.

La squadra mobile di Potenza ha eseguito undici ordinanze di custodia cautelare nei confronti di funzionari e tecnici dell’Eipli, e di alcuni imprenditori (gli indagati sono complessivamente 17) accusati, a vario titolo, di associazione per delinquere, turbata libertà degli incanti e del procedimento di scelta del contraente, corruzione, abuso d’ufficio e truffa. In carcere sono finiti Giuliano Antonio Cerverizzo e Gaetano Di Noia (una terza persona è ancora ricercata); agli arresti domiciliari si trovano Fabio Guarino, Gerardo Palazzo, Giuseppe Chiodetti, Graziano Cosentino, Antonio Bisceglia, Gianfranco Albergo, Fabrizio Cerverizzo e Antonio Albano. La Polizia ha eseguito anche perquisizioni in Basilicata, Emilia-Romagna e Puglia (l'Eipli ha infatti competenza su oltre tre milioni di ettari di territorio, in tre regioni). Il gip, Luigi Spina, ha inoltre disposto il sequestro di mezzi e di 62 mila euro su quattro conti bancari.

I particolari delle indagini sono stati illustrati nel corso di una conferenza stampa a cui ha partecipato il Procuratore di Potenza, Luigi Gay, i pm Francesco Basentini, Anna Gloria Piccininni e Vincenzo Savoia, il questore del capoluogo lucano, Giuseppe Gualtieri, e il dirigente della squadra mobile, Carlo Pagano. L’obiettivo era, in sintesi, quello di «prendere in mano» l’Ente, ma il sistema messo in piedi dal gruppo era complesso e sofisticato, e rappresenterebbe una sorta di "bignami» della manipolazione di appalti, procedure di gara e di bandi.

Il «piatto» era quanto mai ricco (circa 22 milioni di euro per le sole gare del 2015) e i funzionari dell’Ente non esitavano, secondo quanto emerso dalle indagini, a fornire in anticipo i dettagli tecnici alle imprese «amiche», a modificare i parametri degli avvisi in relazione alle necessità, arrivando anche a far volutamente perdere gli imprenditori «vicini» per poi farli ricorrere al Tar: la vittoria in tribunale, in questo caso, era assicurata (il bando era «viziato» all’origine) e le aziende sodali avrebbero così ottenuto l’appalto in modo "pulito».

I funzionari, inoltre, diventavano presidenti delle commissioni dei bandi, per passare poi a direttori dei lavori per recuperare i ribassi presentati in gara.

Un sistema, quindi, così complesso e sottile da richiedere verifiche, intercettazioni, video e pedinamenti per essere portato alla luce. Non sono mancate le classiche «mazzette», consegnate in una stanza d’albergo (e riprese dalle telecamere piazzate dalla Polizia), i regali di vino pregiato e champagne, e un tentativo - del tutto fallito - di «agganciare» qualche politico nazionale anche per aggiudicarsi un commissario liquidatore «amico», e «chiudere così il cerchio».

Quattro i nomi nelle mire degli arrestati - Roberto Speranza e Massimo D’Alema (Pd), Raffaele Fitto (Di) e Vincenzo Taddei (Ap) - ma nessuno risulta in alcun modo coinvolto nell’inchiesta, così come non risultano elementi che possano far ritenere che i politici citati nell’ordinanza «fossero consapevoli - ha Gay - dell’esistenza di secondi fini in capo agli indagati": secondo il gip, infatti, dalle intercettazioni si evidenzia «l'affannoso brigare degli indagati» con «capacità e spregiudicatezza» ma, «nonostante l’alacre lavoro di pressione» sulla politica, la vicenda «non ha preso la piega" che alcuni degli arrestati «volevano imprimere».

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