I votanti: 3,3 milioni pugliesi e 467mila lucani

Referendum, vittoria del «No» col 60% Mattarella a Renzi: congelare le dimissioni In Puglia il «No» al 67%, in Basilicata al 65%

ROMA - «Il Presidente della Repubblica ha ricevuto questa sera al Palazzo del Quirinale il Presidente del Consiglio dei Ministri, dottor Matteo Renzi. Il Presidente del Consiglio - si legge nella nota diffusa dalla presidenza della Repubblica - a seguito dell’esito del referendum costituzionale tenutosi nella giornata di ieri, ha comunicato di non ritenere possibile la prosecuzione del mandato del Governo e ha pertanto manifestato l’intento di rassegnare le dimissioni.

Il Presidente della Repubblica, considerata la necessità di completare l’iter parlamentare di approvazione della legge di bilancio onde scongiurare i rischi di esercizio provvisorio, ha chiesto al Presidente del Consiglio di soprassedere alle dimissioni per presentarle al compimento di tale adempimento». Lo si legge in un comunicato del Quirinale dopo l’incontro di questa sera con il premier Matteo Renzi.

RENZI CEDE AL COLLE, MA VUOLE VOTO A BREVE

Matteo Renzi stamattina voleva lasciare tutto e subito: sia il governo e, secondo alcuni, perfino la guida del Pd. «L'ho detto, sono diverso dagli altri, non posso restare un giorno in più», era inamovibile il premier agli alleati e ai fedelissimi che gli chiedevano di restare almeno fino a fine anno. C'è voluta una paziente moral suasion del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, durata per tutta la giornata, a convincere il segretario Pd a «congelare" le dimissioni fino all’approvazione della legge di bilancio che il governo vuole in tempi brevissimi ma che ha riti e passaggi che comunque richiedono tempo. In fondo si tratta solo di qualche giorno di sacrificio, ha detto il presidente. E Renzi si è convinto solo quando si è capito che l’approvazione della manovra potrebbe essere rapidissima. Dopo una girandola di telefonate partite sia dal Colle che da Chigi. Ma resta tutto ancora da sciogliere il nodo della durata del prossimo Governo che per Renzi dovrebbe chiudere il capitolo della legge elettorale e portare a elezioni anticipate in tempi brevissimi. 

La notte ha, se possibile, aumentato la rabbia e la delusione del presidente del consiglio per una sconfitta bruciante che mai avrebbe immaginato di queste dimensioni. E la convinzione che il rottamatore non poteva trasformarsi nel galleggiatore, il classico politico che prende tempo e poi non si dimette più. Con questo spirito Renzi è salito in mattinata al Quirinale dove Mattarella lo aspettava con l’urgenza di mettere in sicurezza la scadenza della legge di bilancio. E l’unico modo per evitare l'esercizio provvisorio è che sia l’attuale governo e non quello che verrà a portare in porto la manovra. L’addio, oggi stesso dell’ex sindaco Pd, spiegano fonti di governo, avrebbe causato lo stand by della manovra fino al nuovo esecutivo che magari, per rispondere a nuove logiche di maggioranza, avrebbe anche riaperto il calderone della legge di bilancio. Un rischio che l'Italia, sarebbe stato il ragionamento del Capo dello Stato, non può permettersi visto che tutto il mondo in questo momento ci guarda.

Renzi si sarebbe a quel punto consultato con Pier Carlo Padoan facendosi garantire che l’ok alla manovra arrivi già venerdì. Il consiglio dei ministri aveva già approvato la fiducia per il testo alla Camera ma, per chiuderla in settimana, bisognerà accelerare l’iter in commissione con la presentazione degli emendamenti. «Accetto per senso di responsabilità», avrebbe acconsentito alla fine il premier salendo al Quirinale dopo il consiglio dei ministri dove, con un brindisi, ha dichiarato politicamente chiusa l’esperienza di governo.

L’approvazione della manovra non frena però la ricerca della soluzione per il dopo. E giochi e contatti sono già partiti. In pole nei gradimenti del Pd sarebbe un esecutivo guidato da Pier Carlo Padoan che confermerebbe un buon numero degli attuali ministri, al netto di quelli strettamente renziani come il ministro Boschi, anche lei ferma nell’intenzione di lasciare. La richiesta dei vertici Pd, spiegano fonti di maggioranza, è di un governo di scopo di brevissima durata per tornare, dopo la riforma dell’Italicum, alle urne già a marzo o al massimo a giugno.

Ma il 2017, tra l’anniversario dei Trattati di Roma a marzo e il G7 a guida italiana a fine maggio e, prevede impegni che richiedono un governo in carica. Davanti ad un orizzonte più lungo che potrebbe anche arrivare alla scadenza naturale della legislatura, Padoan potrebbe non essere più disponibile, per lealtà a Renzi, e, a quel punto, secondo i rumors, il presidente della Repubblica potrebbe puntare su una figura istituzionale come il presidente del Senato Pietro Grasso. Ma al momento si tratta di scenari perchè Mattarella, quando aprirà le consultazioni, ha intenzione di ascoltare con attenzione tutti i partiti. 

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BERLUSCONI: IL PD DIA VITA AD UN NUOVO GOVERNO -  «Spetta al Partito Democratico dare vita ad un nuovo governo con il compito di mettere in sicurezza i conti pubblici con l’approvazione della legge di bilancio e soprattutto di consentire al Parlamento l’approvazione di una nuova legge elettorale basata su criteri che garantiscano la effettiva corrispondenza tra la maggioranza parlamentare e la maggioranza espressa dagli elettori». Lo afferma Silvio Berlusconi commentando l’esito del referendum. «Abbiamo fiducia - ha aggiunto Berlusconi - nel ruolo di garante del Capo dello Stato che vigilerà certamente su questa fase delicata con equilibrio e imparzialità. Siamo certi che il Presidente della Repubblica saprà individuare la soluzione più corretta per assicurare agli italiani in tempi brevi la possibilità di votare e di scegliere finalmente, dopo tre
governi non eletti, il governo a cui intendono affidare la guida del Paese». 

QUALI ERANO LE OPZIONI SULLA CARTA

ROMA - «Alle sorti del governo provvederà il presidente della Repubblica e noi ci rimettiamo alla sua saggezza». Matteo Renzi ha affidato domenica notte, come contempla la Costituzione, la gestione della crisi di governo al Capo dello Stato Sergio Mattarella. Si tratta di una «crisi al buio» ed extraparlamentare ciò non nata da un formale voto di sfiducia del Parlamento che ha un precedente nelle dimissioni del marzo 2000 dell’allora Presidente del Consiglio Massimo D’Alema dopo un cattivo risultato elettorale alle Regionali.

A condizionare ulteriormente il «buio» di una crisi che non ha precedenti ci sono quelle incombenze istituzionali "irrinunciabili» evocate oggi da Mattarella riguardanti la legge di Bilancio e il rebus delle diverse leggi elettorali di Camera e Senato.
Se le dimissioni di Matteo Renzi saranno «irrinunciabili" le possibili strade che avrà il Colle saranno segnate proprio da quel percorso che fissa la Costituzione: o un nuovo esecutivo, con a capo un esponente dello stesso partito di maggioranza dopo rapide consultazioni, o un «governo di scopo» che provveda a risolvere le principali incombenze che attendono il nuovo inquilino di Palazzo Chigi, oppure, ma al momento sembra l'ipotesi più remota, lo scioglimento delle Camere. Il presidente della Repubblica infatti, dopo le consultazioni (leader di partito, capogruppo parlamentari, presidenti di Camera e Senato, eventualmente soggetti sociali) può adottare diverse soluzioni in caso di crisi di governo;

1.Rinvio del governo alle Camere per la formale verifica della sussistenza del rapporto fiduciario alla Camera e al Senato;

2.Governo-bis: nomina di un nuovo governo, presieduto dallo stesso presidente del Consiglio dei ministri, con eventuali modifiche della compagine ministeriale;

3.Nomina di un nuovo Presidente del Consiglio all’interno della stessa maggioranza;

4.Governo del presidente o «di scopo» con guida affidata ad una personalità a forte identità istituzionale come presidente del Consiglio dei ministri;

5.Governo «tecnico": esecutivo costituito da esperti, ma estranei alla vita politica in quanto tale.

6.Elezioni anticipate: il presidente della Repubblica scioglie le Camere ed indice nuove elezioni.

La prima possibilità sembra remota, almeno visto il discorso netto fatto da Renzi nell’annunciare le sue dimissioni. Se Mattarella decidesse di accettare le dimissioni di Renzi tutte le ipotesi contemplate sarebbero «agibili» per il Colle tenendo sempre conto di quelle «esigenze istituzionali» subito ricordate a tutti.

Al termine delle consultazioni, Mattarella indicherebbe il nome del presidente del Consiglio incaricato, che per consuetudine accetta «con riserva» l’incarico, per verificare la 'fattibilità' di un governo. Sciolta la riserva, presenterebbe la lista dei ministri al Presidente della Repubblica, giurerebbe e si presenterebbe alle Camere con un programma di governo ampio (nel caso di governo politico) o «di scopo» (per la riforma della legge elettorale e altre eventuali priorità indicate dal Quirinale).

LA CRONACA DELLA NOTTE SCORSA

IL PREMIER LASCIA - In prima persona si è buttato nella campagna referendaria e si è assunto tutta le responsabilità della debacle Matteo Renzi. «Ho perso io, volevo tagliare le poltrone del Senato, è saltata la mia sedia», riconosce Matteo Renzi, provando a sdrammatizzare ma in realtà tradendo nel rossore degli occhi e nella voce quasi commossa, parlando da Palazzo Chigi con al fianco la moglie Agnese, il peso di una sconfitta che nessuno, nè al governo nè al Pd, aveva immaginato.

Il più giovane premier lascia la guida di un governo durato mille giorni ma non il Pd. Martedì riunirà la direzione e da lì si cercherà di capire la strada da prendere. In molti gli chiedono di restare ma Renzi stasera è apparso inamovibile: «Come era evidente e scontato dal primo giorno la mia esperienza finisce qui, volevamo vincere e non partecipare», dice rivendicando la coerenza del rottamatore e la distanza dalla vecchia politica dove nessuno si dimette. Una distanza dai suoi predecessori che assicura di dimostrare anche quando avverrà il passaggio della campanella con il suo successore. «Con amicizia e con un abbraccio consegnerò la campanella ed i dossier su che cosa fare», assicura alludendo a quel gelido passaggio di consegne con Enrico Letta che da sempre l’ex sindaco di Firenze si è sentito addosso come un marchio di infamia.

Dopo aver votato in mattinata a Pontassieve, Renzi è rientrato a Roma nel pomeriggio quando dagli exit polls si era capito che più che una sconfitta il governo avrebbe subito una batosta. Con la moglie, il portavoce e pochissimi fedelissimi ha preferito aspettare i dati a Palazzo Chigi e non al Nazareno, dove erano riuniti i ministri più stretti, come Maria Elena Boschi e Dario Franceschini, e i vertici del Pd. Mentre dentro Palazzo Chigi i giornalisti stranieri parlavano di 'Renxit' in attesa di salire alla Sala dei Galeoni, fuori, a pochi metri dalla sede del governo, una trentina di militanti dell’Usb hanno acceso dei fumogeni al grido di 'Dimissioni, dimissionì. Pochi minuti di tensione, subito calmati dalla polizia, mentre il leader Pd confermava nei dati reali del Viminale l’entità della perdita.

Non è la prima sconfitta per Renzi, battuto alle primarie per la premiership da Bersani nel 2012, ma sicuramente questa è la più dura. «C'è rabbia, delusione, amarezza, tristezza», elenca il giovane leader che rivolgendosi a volontari e militanti, con parole quasi da congedo definitivo, assicura: «Tornerete a festeggiare una vittoria». Se lui ci sarà ancora, è presto per dirlo: per ora Renzi alza bandiera bianca, teso ma sforzandosi in undici minuti di discorso di sorridere. (di Cristina Ferrulli, ANSA)

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L'ORIENTAMENTO DI RENZI NON SAREBBE DI LASCIARE IL PARTITO - E’ irremovibile Matteo Renzi: il No al referendum costituzionale pone fine all’esperienza del suo governo, senza possibilità di un secondo appello. Il premier lo avrebbe spiegato al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nella telefonata in cui gli anticipa quanto annuncerà, poco dopo la mezzanotte, in una conferenza stampa a Palazzo Chigi. Il capo dello Stato, che già da domani alle 10 potrebbe ricevere il premier dimissionario, gli avrebbe ventilato l’ipotesi di inviare il governo alle Camere, per verificare la possibilità di un bis. Ma il presidente del Consiglio gli fa sapere che le dimissioni che consegnerà al capo dello Stato sono irrevocabili, pur garantendo l’approvazione della legge di stabilità.

Da stamani sarà dunque il presidente della Repubblica, considerato anche dall’opposizione un garante affidabile, a gestire la partita del 'dopò. A lui gli esponenti del centrodestra e i Cinque stelle hanno già fatto pervenire, attraverso le dichiarazioni alla stampa, l’auspicio di elezioni anticipate, magari dopo un breve periodo per fare la legge elettorale. Ma è ancora il Pd a detenere il gruppo parlamentare più nutrito e resta dunque il Partito democratico, di cui Renzi resta al momento segretario, lo snodo decisivo.

Il leader Pd ha chiarito che davanti ad un risultato così netto tocca ai capi dell’opposizione «l'onere» di avanzare una proposta sulle modifiche all’Italicum. Parole che suonano come una sfida, davanti all’eterogeneità dei partiti di minoranza. Difficile comunque che qualsiasi intervento sarà fatto prima di fine gennaio o inizio febbraio, quando la Consulta si pronuncerà sull'Italicum.

Il capo dello Stato, d’altra parte, ha già fatto trapelare nelle scorse settimane la sua contrarietà a sciogliere le Camere, senza una legge elettorale omogenea per Camera e Senato. Il primo problema che si pone, però, superato lo scoglio della manovra, è quale governo possa traghettare il Paese verso le elezioni, che a questo punto potrebbero avvenire non alla scadenza della legislatura nel 2018, ma già nella primavera 2017. Davanti all’inamovibilità di Renzi, Mattarella non potrà che aprire le consultazioni con i gruppi parlamentari ed individuare un presidente del Consiglio che abbia la maggior condivisione possibile.

Presto per fare i nomi, ma le figure che vengono accreditate nei rumors sono il ministro Pier Carlo Padoan, che farebbe anche da garante per i mercati e per il nodo delle banche. Oppure una figura più politica, come Dario Franceschini, che ha un nutrito drappello di parlamentari Pd. L'alternativa è un governo 'del presidentè, guidato da una figura istituzionale come il presidente del Senato Pietro Grasso.

Uno snodo importante per capire con quale proposta il Pd si presenterà al Quirinale è la riunione della direzione del Pd, convocata per martedì. Sarà quello il momento per capire come cambieranno gli equilibri interni al partito dopo la sconfitta referendaria. «La colpa è la sua», diceva più di un dirigente stasera al Nazareno. «Ora non potrà più decidere da solo», è la tesi non solo della minoranza Dem, che rivendica di aver rappresentato con il No una quota di elettori Pd, ma anche degli esponenti della maggioranza non di stretta fede renziana.

Secondo quanto si apprende, l’orientamento di Renzi non sarebbe di lasciare la guida del partito. Anzi, i suoi già spingono perché si ricandidi al congresso, che sarà convocato forse nella direzione di martedì, per poi presentarsi alle elezioni politiche. Ma le percentuali della sconfitta, che registrerebbe picchi tra i giovani e al Sud, osserva più d’uno, 'ammaccanò anche l’appeal del leader rottamatore.  

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AFFLUENZA DEFINITIVA - Secondo i dati del Viminale l’affluenza alla chiusura delle urne alle 23 in Italia per il referendum è stata del 68,48%. In Puglia ha votato per ora il 61,71 per cento degli aventi diritto, in Basilicata il 62,87 per cento.

LINK: TUTTI I DATI DAL SITO DEL MINISTERO DEGLI INTERNI

I VOTANTI IN PUGLIA E BASILICATA - Nel giorno del referendum confermativo sulle riforme costituzionali, alle urne sono stati chiamati 46.714.950 elettori, di cui 22.465.280 uomini e 24.249.670 donne. Seggi insediati anche a Castelnuovo di Porto, dove sono arrivate le schede di chi ha votato dall’estero. Gli elettori aventi diritto al voto per corrispondenza all’estero sono stati 3.995.042. Sono stati 3milioni e 280mila i pugliesi, e 467mila i lucani chiamati alle urne. 

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