la storia

Malata in radioterapia licenziata dall'azienda

di MASSIMO BRANCATI

POTENZA - Sta lottando contro il destino, la malattia, il dolore, la sofferenza. Ma anche contro la burocrazia, l’arroganza, l’insensibilità delle persone. Lei, affetta da un tumore, è stata licenziata subito dopo aver iniziato un percorso di radioterapia al Crob di Rionero in Vulture. Come se il cancro fosse uno «sfizio» che le sottrae tempo al lavoro.
Donatina, 52 anni, di Potenza, responsabile della cucina nella mensa-agenti del carcere di Potenza, ha ricevuto nei giorni scorsi la lettera con cui la ditta Slem di Piano di Sorrento l’ha messa alla porta senza troppi giri di parole. E senza preavviso. In malattia dai primi di dicembre scorso, Donatina, in servizio da circa 22 anni, avrebbe superato il cosiddetto «periodo di comporto», vale a dire quel lasso di tempo in cui la legge consente di assentarsi dal lavoro mantenendo il posto. La tempistica varia da contratto a contratto e, per la verità, non c’è molta chiarezza nel settore, dal momento che non si farebbe una netta distinzione tra malattia cronica e patologia tumorale. Mediamente il periodo di assenza non può superare i sei mesi, ma per una malata di cancro, alle prese con il ciclo di radioterapia, sei mesi sono decisamente pochi per completare il percorso di guarigione.

«Mi hanno licenziata - spiega Donatina - il 16 agosto scorso quando ancora facevo la radioterapia. Oggi, per fortuna, ho finito e sarei in grado di tornare in mensa. Avevo parlato con uno dei dirigenti della mia azienda che mi aveva rassicurata sui mesi di assenza, comprendendo che per un tumore c’è bisogno di più tempo. Evidentemente le sue erano solo parole di circostanza».
Donatina ha cercato invano una sponda nell’Ispettorato del lavoro e nei sindacati, imbattendosi in «spallucce» e silenzi. L’unica organizzazione sindacale che ha deciso di schierarsi dalla sua parte è l’Usb: «Questi - dice il sindacalista Francesco Castelgrande - sono i risultati di una cattiva gestione a tutto tondo che vede sempre in secondo piano i diritti e la dignità dei lavoratori. Noi dell'Usb non possiamo che seguire la vicenda, esprimendo piena solidarietà alla dipendente licenziata e a tutti i lavoratori che da molti mesi subiscono nelle carceri lucane una situazione di precarietà».

Donatina vorrebbe tornare a lavorare dopo aver sconfitto (per sempre, si spera) il male che l’ha tormentata in questi mesi. La stessa legge a cui si è appellata la ditta per licenziarla dice che in questi casi dovrebbe scattare il pensionamento per inabilità al lavoro. Ma, come dicevamo, la donna assicura di essere guarita ed è pronta a tornare ai fornelli. «Amo il mio lavoro», sottolinea Donatina che chiede all’azienda di essere reintegrata. Sarà raccolto l’appello?

La storia insegna che difficilmente le aziende, in questi casi, tornano sui propri passi. Anche perché spesso utilizzano tali «corsie» per alleggerire il proprio personale nell’ottica del risparmio e dell’ottimizzazione dei costi. Ecco perché ci vuole un «rinforzo» all’appello di Donatina. Servirebbe un’onda popolare di solidarietà. Ciò che è accaduto a un’altra donna, Patrizia, una coetanea di Brindisi, che a febbraio del 2015 ha riavuto il suo posto di lavoro grazie alla «spinta» di una petizione popolare firmata da 50mila persone. A novembre 2014 era stata licenziata dall’azienda presso la quale lavorava da 25 anni dopo essersi ammalata di tumore con i conseguenti cicli di chemio e radioterapia. Al suo fianco è scesa un’intera regione, a cominciare dall’allora governatore pugliese Nichi Vendola. La vittoria di Patrizia è stata un vittoria universale. Ha vinto per la dignità del lavoro di tutte le lavoratrici reduci dal cancro. Quella dignità che oggi Donatina vede mortificare dalla lettera di licenziamento didascalica e burocratica. Con quei «distinti saluti» che sanno di beffa.

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