L'incidente sulla Basentana

Uccise pedone senza «giubbino» Cassazione annulla condanna

Nei primi due gradi automobilista riconosciuto colpevole: fascicolo va a Salerno

Perché mai un automobilista che procede di notte sulla Basentana, una strada extraurbana, dovrebbe prendere in considerazione la possibilità di imbattersi in un pedone che procede al buio e senza giubbotto rifrangente? La domanda l’ha girata la Corte di Cassazione alla Corte di Appello di Salerno dopo aver annullato la sentenza di condanna per omicidio colposo che l’analogo livello giudiziario di Potenza (in conferma di un pronunciamento del tribunale di Matera) aveva emesso nei confronti del 58enne Carlo Alberto Zerlotin.

Zerlotin, la notte del 20 febbraio 2010 stava viaggiando a bordo della sua Lancia Lybra sulla SS407 Basentana in direzione Metaponto-Potenza quando, imboccando la corsia di decelerazione per proseguire lungo la via Appia non vide Vincenzo Mafaro che stava percorrendo la strada a piedi e lo investì sbattendolo a terra dove l’uomo fu poi travolto da un’altra autovettura. Le lesioni riportate causarono la morte del pedone.
Per questo motivo i primi due gradi di giudizio consumati presso i palazzi di giustizia lucani si conclusero con la condanna per omicidio colposo ritenendo che «benché la vittima procedesse lungo la strada extraurbana nello stesso senso di marcia dei veicoli, senza alcun presidio per la visibilità notturna, la responsabilità dell'evento fosse da ascriversi allo Zerlotin in quanto egli non aveva adeguato la sua condotta di guida alle condizioni della strada, priva di una sufficiente illuminazione, in particolare non aveva tenuto una velocità commisurata a quelle condizioni, tale da consentirgli di mantenere il controllo del veicolo e di prevedere tutte le situazione di pericolo, e non aveva azionato i fari abbaglianti il cui uso è previsto su strada extraurbana con illuminazione insufficiente o mancante».

Motivazioni contestate nel ricorso dei difensori di Zerlotin che, oltre a contestare la mancanza di un esattor ilevamento della velocità contestata, hanno insistito nel dire che, essendo la presenza di un pedone, per di più privo del giubbotto rifrangente, un fatto normalmente imprevedibile su quella strada, veniva meno il concetto di «colpa» alla base della condanna, poiché Zerlotin non aveva trascurato di adottare le cautele che il buon senso suggeriva per la circolazione su quel tratto viario.
Una motivazione che ha convinto i giudici della Suprema Corte, secondo cui «non è stata approfondita la causalità della colpa» spiegandop che «o in tema di circolazione stradale, con riferimento alla norma di cautela inerente all'adeguamento della velocità alle condizioni ambientali, è stata ripetutamente affermata la necessità di tener conto degli elementi di spazio e di tempo, e di valutare se l'agente abbia avuto qualche possibilità di evitare il sinistro: la prevedibilità ed evitabilità vanno cioè valutate in concreto».

In particolare «nel caso di specie - spiegano i giudici - si trattava di comprendere se, nelle condizioni date, la condotta della vittima, che, sceso dalla propria autovettura, circolava su strada extraurbana senza giubbotto retrorifiettente, fosse prevedibile e se le conseguenze letali dell'infortunio fossero evitabili» aggiungendo che «il comportamento di un pedone che procede in strada extraurbana, al buio, senza giubbotto retrorifiettente e contromano costituisce una condotta che ben potrebbe esulare dalla suddetta sfera di prevedibilità». E per sciogleiere questo nodo ha rinviato il fascicolo a Salerno.

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