Il busto di don Tonino Bello rubato e venduto a ferrovecchio

Carmela Formicola

Non è solo il vuoto che può lasciare qualcosa che togli dal suo spazio naturale. Questo è un vero vuoto dell'anima. Bari, Villaggio Trieste, un pezzo di città né periferia né centro, un rione nato per dare rifugio ai profughi in arrivo dall'Istria e dalla Dalmazia. Una zona che ha una specie di vocazione intrinseca: accogliere. Così come aprì le braccia al popolo in fuga dalla Jugoslavia, così molti anni dopo, nel glorioso Stadio della Vittoria, accolse l'oceano di albanesi sbarcato a Bari in condizioni disperate sul mercantile Vlora. Pezzi di storia. Corsi e ricorsi storici.

Nel 1991, a stringere le mani agli albanesi in fuga, a guardarli negli occhi e a raccogliere il loro sgomento, arrivò anche don Tonino Bello, il vescovo degli ultimi. Alle spalle dello stadio, nel Villaggio Trieste, si trova la piccola chiesa di Sant'Enrico, dove nel '91, naturalmente, don Tonino bussò. E dunque torniamo al vuoto. Non solo il vuoto che due anni dopo, stroncato dal male, don Tonino avrebbe lasciato nel cuore di chiunque lo avesse conosciuto. Piuttosto il vuoto che oggi si è fatto plastico, metaforico: il busto bronzeo del vescovo degli ultimi, che la parrocchia di Sant'Enrico sistemò nel giardino della chiesa nel 1998, è stato rubato. E quell'assenza riaccende i ricordi come il fuoco. Don Giorgio è parroco di Sant'Enrico dal 1982. Quando conobbe don Tonino pensò che era stato il Cielo a mandarlo nella sua piccola chiesa. Lo vide parlare con gli albanesi, lo vide soffrire, lo vide pregare, lo vide sorridere. Una forza incontenibile. L'anno successivo, nel 1992, lo invitò nuovamente, a luglio, per celebrare messa, per riabbracciarsi. E dopo i giorni difficili dell'accoglienza albanese, fu invece festa con i ragazzi venuti a cresimarsi e don Tonino a ungerli con il sacro crisma.

Ma il male lo stava già scavando. Dopo meno di un anno si spense, nell'aprile del '93, ma don Giorgio decise di lasciare una traccia evidente delle orme lasciate dal vescovo nel Villaggio Trieste. Nel luglio 1998, dunque, viene inaugurato il busto bronzeo, costato 6 milioni di vecchie lire (soldi della parrocchia). E dopo 16 anni qualcuno lo ha trafugato. È successo l'altra notte, il parroco lo ha scoperto in mattinata e quell'assenza gli si è tuffata nell'anima. Chi ha potuto sottrarre un'opera del genere? Le telecamere della sicurezza hanno immortalato alcune ombre, venute in sella a biciclette, e poi un furgone bianco. Chissà, magari i soliti predoni di metalli, quelli che ogni notte, a Bari come in ogni metropoli, vanno rastrellando cavi di rame e fontanine di ghisa, leghe e marmitte catalitiche da rivendere alla borsa nera del metallo. Gente, in ogni caso, incapace di valutare che col bronzo ha portato via anche l'emozione dei ricordi e l'immenso contenuto affettivo che un volto fissato nel bronzo può dolcemente custodire. «È un oggetto di un valore enorme, per me, per la nostra comunità», spiega il parroco.

Don Tonino diceva che gli uomini sono angeli che però hanno soltanto un'ala: per volare devono rimanere abbracciati. Perché i fili di questa storia sembrano riannodarsi in un unico racconto fatto di simboli e di bellissime coincidenze. Come la marcia alla quale volle partecipare nel dicembre del ‘92, pochi mesi dopo il suo ritorno nel Villaggio Trieste. Da Ancona, con cinquecento volontari, camminò verso la Dalmazia fino alla città di Sarajevo, da diversi mesi sotto l'assedio dei serbi. Fece a ritroso il cammino percorso dai profughi che avevano raggiunto Bari tanti anni prima, tornò in quella Jugoslavia che continuava a riassestarsi nel sangue. Ecco perché è così intenso il legame tra questo sacerdote straordinario e i luoghi baresi dell'accoglienza. Ecco perché quel «vuoto» brucia ben più di un busto rubato per essere venduto a ferrovecchio

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