Ilva, la Svizzera dice no a rientro 1,2 miliardi di Riva Emiliano «chiama» Renzi Legambiente: doccia fredda lo stop
di MIMMO MAZZA
TARANTO - Disco rosso dalla Svizzera al trasferimento in Italia del miliardo e 200 milioni di euro sequestrati a Emilio e Adriano Riva. Il tribunale di Bellinzona ha accolto l’opposizione presentata da 3 eredi di Emilio, il defunto patron dell’Ilva di Taranto, sostenendo, in una sentenza di 80 pagine datata 18 novembre ma depositata ieri in cancelleria, che con l’invio dei soldi a Equitalia Giustizia Spa, che ne aveva fatto richiesta in forza di uno dei decreti salva-Ilva, si sarebbe verificato un vero e proprio esproprio in assenza di una sentenza penale di condanna.
In un comunicato stampa, il tribunale penale federale di Bellinzona spiega di aver annullato la precedente decisione in materia della Procura di Zurigo a causa di vizi «particolarmente gravi». Secondo i giudici svizzeri, la vera motivazione alla base della richiesta presentata dalle autorità giudiziarie italiane per lo sblocco delle somme non era «penale ma finalizzata a raggiungere altri scopi».
Inoltre, quei fondi risultano essere solo «presumibilmente, e non manifestamente, di origine criminale»: quindi si potrebbe arrivare a una assoluzione degli indagati cui sono stati sequestrati in assenza di «una dichiarazione di garanzia delle autorità italiane secondo la quale le persone perseguite, se dichiarate innocenti, non subirebbero nessun danno.
La consegna, a causa della costellazione giuridica in Italia, avrebbe come risultato che i valori in questione sarebbero subito convertiti, senza che vi sia una sentenza di confisca cresciuta in giudicato ed esecutiva, in obbligazioni di una società in fallimento (l’Ilva appunto, ndr) soggetta a commissariamento straordinario. I beni patrimoniali sarebbero convertiti in titoli con valore non equivalente (presumibilmente senza valore o dal valore fortemente ridotto), ciò che costituirebbe un’espropriazione senza un giudizio penale».
Il tribunale di Bellinzona nel comunicato stampa ricorda che la sua sua sentenza è impugnabile dinanzi al tribunale federale entro 10 giorni. Il miliardo e 200 milioni di euro erano stati sequestrati dal gip Fabrizio D’Arcangelo del tribunale di Milano su richiesta dei pm Mauro Clerici e Stefano Civardi, nel corso dell’inchiesta nella quale si ipotizzava che i soldi detenuti presso un conto Ubs in Svizzera fossero «il provento dei delitti di appropriazione indebita continuata e aggravata» da parte degli indagati «ai danni della Fire Finanziara spa (oggi Riva Fire, ndr), di truffa aggravata, di infedeltà patrimoniale e di false comunicazioni sociali, oltre che di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici e di trasferimento fraudolento di valori».
In questo filone di inchiesta risultano indagati Adriano Riva e due consulenti della famiglia: Franco Pozzi ed Emilio Gnech, accusati di riciclaggio. Era stato iscritto nel registro degli indagati anche Emilio Riva, deceduto nel frattempo. L’inchiesta è ancora aperta, la Procura di Milano non ha ancora notificato l’avviso di conclusione delle indagini preliminari, atto propedeutico alla richiesta di rinvio a giudizio: ecco perché per i giudizi svizzeri, il trasferimento di quei soldi era impossibile stante l’assenza di un giudizio penale.
La decisione costituisce una doccia fredda per quanti, a partire dal governo, contavano proprio su quei soldi per completare l’opera di messa a norma dell’acciaieria di Taranto, sottoposta a sequestro nel luglio del 2012 in quanto ritenuta responsabile di malattie e morte per operai e cittadini.
Nella legge di stabilità 2016 il governo ha previsto una garanzia statale per 800 milioni di euro destinati all’Ilva, dopo il finanziamento di 400 milioni di inizio 2015. Ma se toccherà alle casse pubbliche pagare tutti i conti dell’Ilva, la battaglia con l’Unione Europea - che sta lavorando su una procedura di infrazione per aiuti di Stato - sarà davvero cruenta. E intanto, dopo la decisione dei giudici svizzeri il governatore della Puglia, Michele Emiliano, ha scritto al premier Matteo Renzi per chiedere un incontro urgente.
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