Barcone di clandestini si trasforma in un inferno

PALERMO - «Erano in condizioni pietose, ridotti a scheletri e con le labbra riarse dal sole e dalla salsedine. Quando li abbiamo soccorsi non si reggevano in piedi, sembravano fantasmi...».
Il capitano di fregata Stefano Bricchi è il comandante della Corvetta "Sibilla" della Marina Militare, impegnata nei servizi di pattugliamento e controllo del Canale di Sicilia. Negli ultimi giorni, insieme con i suoi 80 uomini di equipaggio, ha soccorso centinaia di clandestini a largo di Lampedusa. Ma la scena a cui ha assistito ieri sera non potrà dimenticarla facilmente. «È stato il peschereccio italiano "Pindaro" - spiega via radio, dopo avere ripreso la normale attività in mare - a segnalarci un'imbarcazione alla deriva con alcuni clandestini a 130 miglia a sud est di Lampedusa, una zona lontanissima sia dalle coste italiane che da quelle maltesi».
L'unità della Marina ha impiegato sette ore per raggiungere il punto indicato, e quando alle 7 di ieri sera ha "agganciato" finalmente il barcone con 14 immigrati, agli occhi dell'equipaggio si è presentato uno spettacolo terribile: «Erano distesi sulla barca, privi di forza. Agitavano debolmente le mani e ci chiedevano aiuto. Sembravano fantasmi... ».
Gli immigrati, in un inglese stentato, hanno raccontato di essere in mare da venti giorni, e di avere esaurito le scorte di viveri ed acqua dopo una settimana. Ma il particolare più agghiacciante è stato un altro: «Siamo partiti dalla Libia in 27 - hanno aggiunto - durante la traversata 13 di noi non ce l'hanno fatta; siamo stati costretti a gettare i loro corpi in mare».
Una sorte che presto sarebbe toccata anche ad altri: «Quando abbiamo raggiunto il barcone - spiega il comandante - alcuni di loro non davano segni di vita. Uno in particolare sembrava ormai morto. Solo quando l'abbiamo issato a bordo con una barella ci siamo resi conto che respirava ancora».
È stato il medico di bordo della nave, il sottotenente di vascello Vittorio Lenzi, a prestargli le prime cure: «Ancora qualche ora in mare - spiega - e non ce l'avrebbe fatta. Siamo giunti appena in tempo per strapparlo alla morte. Ma anche gli altri suoi compagni di viaggio versavano in condizioni critiche, con gravi stati di disidratazione e denutrizione».
Una situazione clinica del tutto compatibile con la ricostruzione del terribile viaggio affrontato dai clandestini, sette dei quali una volta sbarcati a Lampedusa sono stati subito trasferiti con gli elicotteri del 118 nel reparto di Rianimazione dell'Ospedale civico di Palermo. Due di loro sono ancora in coma.
«Non si reggevano in piedi - dice il capitano Bricchi - alcuni per placare la sete, avrebbero perfino cercato di bere acqua di mare».
I 14 extracomunitari, secondo quanto riferisce il comandante della "Sibilla", sono di diverse etnie: «Molti sono eritrei, ma alcuni provengono dal Mali e c'è anche un egiziano. Diverse anche le loro fedi: ci sono cristiani, cristiani ortodossi e un paio di musulmani». Insomma un barcone multietnico e multireligioso, che seguendo la rotta della speranza verso l'Italia si è trasformato nel barcone della morte e dell'orrore.
Francesco Nuccio

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