Sabato 06 Settembre 2025 | 18:38

Il rudere Regina pacis: il «mostro» del Salento a due passi dal mare

 
ALESSANDRA LEZZI

Reporter:

ALESSANDRA LEZZI

Il rudere Regina pacis: il «mostro» del Salento a due passi dal mare

Nella baia di San Foca l’ex «lager di Stato» di don Lodeserto

Lunedì 19 Giugno 2023, 09:13

Lo hanno definito lager di Stato. Saranno le prossime generazioni a darne un giudizio storico e lucido se mai avranno la voglia di leggere la verità giudiziaria scritta nelle carte del processo e quella raccontata da alcune non così vecchie fotografie e qualche articolo di giornale di quegli anni. Di certo, a guardarlo ora, quello che è stato il Centro di permanenza temporanea più grande d’Italia, del lager e dei suoi fantasmi e della loro disperazione (e chissà, fors’anche della vergogna) sembra esserne la rappresentazione plastica. L’edificio che fu il Regina Pacis non è certo polvere sotto il tappeto di una pagina di storia di questa terra che si vuole dimenticare, perché quel rudere su tre piani che cade in pezzi a venti metri da un mare con i riflessi colore verde è un treno del ricordo contro cui ci si schianta solo guardandolo.

Oltre 60mila persone arrivate dall’altra parte dell’Adriatico sono passate e si sono fermate qui, e c’è stato un momento in cui quella scritta che campeggiava in alto dal cancello centrale «Casa Regina Pacis», sotto la quale si è fatto fotografare il suo gestore, Don Cesare Lodeserto, ha fatto a pugni con l’altra, in un italiano stentato, scritta da alcuni ospiti in protesta, in una sera d’inverno: «Siamo esseri umani, non schiavi».

Oggi è un non luogo di una bruttezza intollerabile, ed è un luogo insicuro per i bambini e i turisti che lì, venti metri esatti più avanti, si tuffano in uno dei tratti più belli della costa Adriatica: siamo nella baia di San Foca, in località Canale Zuccato, a sud della spiaggia di Marangi. I cancelli non ci sono più, le ringhiere di protezione sopra i muri sono arrugginite, in parte venute giù lasciando il posto a pezzi di filo spinato. Hanno portato via tutto: non c’è più una porta, hanno tirato giù persino le vecchie tapparelle, i neon, le caldaie, gli imbotti delle porte, gli arredi dei bagni. Per salire la gradinata che porta al secondo piano e poi su al terzo, verso il terrazzo, conviene farsi il segno della croce. Vanno bene anche gli scongiuri. In alcune stanze sono buttati per terra, tra detriti, vetri rotti, pezzi di ferro che vengono fuori dai muri, materassi logori e con almeno dieci centimetri di polvere e chissà cos’altro. Ad affacciarsi da quei balconi vien la pelle d’oca: non c’è nessuna protezione, si son portati via pure quelle. Un passo falso e cadi giù. In alcuni punti sono caduti interi pezzi di solaio. Ed è tutto, ogni pericolosissimo centimetro, terribilmente raggiungibile con grande facilità, nonostante alcune architrave in marmo si stanno staccando giorno dopo giorno.

A un certo punto, la Curia (e per la sua parte, il 25 per cento, anche il Comune) si è liberata di questo edificio. L’ha venduto per un milione di euro al gruppo Semeraro. L’idea era di farci un albergo. Un’idea tutto sommato fattibile considerato che la concessione edilizia è del 1958: i volumi sono quindi legittimi, tranne quelli dei fabbricati bassi accanto. “L’idea ci piaceva – ricorda l’ex sindaco Marco Potì – ma il progetto prevedeva un piano interrato e quindi uno scavo e un eccesso di volumetria. Dopo di che mi risulta che ci sia stato un compromesso di vendita dal gruppo Semeraro al gruppo Mazzotta. Loro presentarono un secondo progetto interlocutorio ma a un certo punto non se ne fece più nulla. Non so esattamente ora di chi sia la proprietà. Pur di non lasciarlo così presentammo un progetto per l’acquisizione al patrimonio pubblico e la realizzazione di un parco”. Progetto finanziabile con i Cis per la modica somma di tre milioni di euro. Il nuovo sindaco, Maurizio Cisternino, ne condivide l’idea pur consapevole di una somma rilevante che non porterebbe un ritorno al territorio, e quindi tenta un’ultima carta: “Convocherò la proprietà – annuncia – perché lo mettano immediatamente in sicurezza. Dopo di che se l’idea dell’albergo è ancora valida farò tutto ciò che è in mio potere per agevolarla, a partire dalla Conferenza dei servizi”.

Non se lo ricorda quasi nessuno, ma dietro queste mura è stata scritta anche una storia bella: quella della colonia per bambini poveri di Lizzanello e Melendugno gestita da Don Alfonso Cannoletta.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Marchio e contenuto di questo sito sono di interesse storico ai sensi del D. Lgs 42/2004 (decreto Soprintendenza archivistica e Bibliografica Puglia 18 settembre 2020)

Editrice del Mezzogiorno srl - Partita IVA n. 08600270725 (Privacy Policy - Cookie Policy - - Dichiarazione di accessibilità)